Iran, in arresto i giornalisti che raccontano la rivolta
Senza veli Su proposta Usa il Paese è stato rimosso dalla Commissione Onu sullo status delle donne
Senza veli Su proposta Usa il Paese è stato rimosso dalla Commissione Onu sullo status delle donne
L’Iran è stato rimosso «con effetto immediato dalla Commissione Onu sullo status delle donne per il resto del suo mandato 2022-2026». Lo hanno deciso i 54 membri del Consiglio economico e sociale delle Nazioni unite, approvando una risoluzione proposta dagli Stati uniti. Sono stati 29 i voti a favore (compatto il sostegno dell’Ue), 8 i contrari (Bolivia, Cina, Kazhakstan, Nicaragua, Nigeria, Oman, Russia, Zimbabwe), 16 gli astenuti.
INTANTO, i pasdaran hanno arrestato alcuni giornalisti accusati di avere inviato immagini e video ai social media e a emittenti in lingua persiana all’estero, nonché di avere il sostegno finanziario e di intelligence stranieri. In secondo luogo, la magistratura ha sospeso la condanna a morte per Mahan Sadrat Marni, in attesa del riesame. Il ventitreenne è accusato di «aver diffuso insicurezza e paura attraverso l’organizzazione di raduni e di aver contribuito a minare la sicurezza nazionale, nonché di aver dato fuoco ad una motocicletta e aver lanciato un attacco armato di coltello». Nel processo del 3 novembre aveva negato di avere un’arma, ma non aveva avuto un avvocato. In terzo luogo, continua la repressione nei confronti della minoranza religiosa Bahai, con ulteriori dieci anni di carcere comminati a due donne, Mahvash Sabet e Fariba Kamalabadi.
OLTRE LA CRONACA, le vicende di due uomini, due destini che si intrecciano. L’iraniano si chiama Assadollah Assadi, ha 50 anni ed è un diplomatico. Era stato arrestato il 10 giugno 2018 mentre si trovava in autostrada in Germania. Stava tornando a casa, a Vienna, dove lavorava in ambasciata e avrebbe goduto dell’immunità diplomatica. Il 4 febbraio 2021 è stato condannato a vent’anni di carcere da un tribunale di Anversa per aver trasportato nella valigetta diplomatica gli esplosivi consegnati a una coppia di origine iraniana. Si erano incontrati in un Pizza Hut in Lussemburgo, ma i servizi segreti li stavano già monitorando. Dal Belgio, la coppia doveva recarsi a Parigi per mettere in atto un attentato in occasione di un incontro del Consiglio della Resistenza Iraniana, ovvero dell’entità politica dei Mojaheddin del Popolo (Mek), nella località di Villepinte, a nord della capitale francese. La coppia era stata fermata a Bruxelles con mezzo chilo di esplosivi e un detonatore, ma aveva negato di conoscere il contenuto della valigetta. Un quarto uomo, un poeta belga-iraniano, era stato arrestato a Parigi con l’accusa di essere un complice. Tutti e tre erano stati condannati a pene detentive tra i 15 e i 18 anni. All’incontro dei Mek, a cui aveva parlato la leader Maryam Rajavi, avevano partecipato decine di migliaia di persone, tra cui anche Rudy Giuliani, avvocato dell’allora presidente statunitense Donald Trump.
IL BELGA SI CHIAMA Olivier Vandecasteele, ha 41 anni ed è un operatore umanitario. Era stato arrestato lo scorso febbraio senza motivo: la leadership della Repubblica islamica usa da sempre gli ostaggi come oggetto di trattative con i paesi occidentali. Detenuto in isolamento, Vandecasteele doveva essere scambiato con il diplomatico iraniano Assadollah Assadi. Giovedì scorso, la Corte costituzionale belga ha però «sospeso» un trattato belga-iraniano sul trasferimento dei detenuti che il governo belga aveva fatto approvare dal Parlamento a luglio per consentire il ritorno di Vandecasteele. Il trattato di trasferimento, firmato nel marzo 2022 tra Bruxelles e Teheran poco dopo l’arresto di Olivier Vandecasteele, è stato oggetto di numerosi ricorsi in Belgio da parte dei Mek. Agli occhi di questi ultimi, il testo spiana la strada alla resa a Teheran e alla possibile grazia del diplomatico iraniano. Sfumato lo scambio, ieri l’operatore umanitario belga è stato condannato a 28 anni. Il destino di Vandecasteele sarà deciso dalla corte belga, che ha tre mesi di tempo per esprimersi.
L’OPERATORE umanitario si trova in cella di isolamento nel carcere di Evin, in cui sono rinchiusi i prigionieri politici e gli stranieri, tra cui una quarantina di altri ostaggi occidentali. Lo scorso ottobre, in questa prigione era scoppiato un incendio in cui morirono otto persone. Ieri, l’Organizzazione delle prigioni dell’Iran ha presentato una denuncia contro sei prigionieri politici e la moglie di uno di loro per «distruzione deliberata» di oggetti e «insulto alle autorità».
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