Si tiene oggi il giuramento del tecnocrate moderato Hassan Rohani come nuovo presidente iraniano.
Delegazioni di undici paesi parteciperanno al suo insediamento nella sede del Majlis (Parlamento) a Tehran. Né le autorità di Israele né degli Stati Uniti sono state invitate: con i due paesi l’Iran non ha relazioni diplomatiche. Per la Gran Bretagna parteciperà l’ambasciatore a Tehran. Il ministro degli Esteri inglese William Hague aveva parlato di un «possibile miglioramento graduale delle relazioni bilaterali». Sarà presente in rappresentanza di Mosca il portavoce della Duma Sergei Naryshkin. Mentre a rappresentare l’Unione europea è stato invitato l’Alto rappresentante per la politica Estera e di Sicurezza Javier Solana. Grande assente alla cerimonia di insediamento è l’ex presidente riformista Mohammed Khatami.

In occasione del passaggio dei poteri da Ahmadinejad a Rohani, la guida suprema Ali Khamenei, che nei giorni scorsi si era espresso per la repressione della comunità baha’i iraniana, ha assicurato che il paese cresce nonostante le sanzioni internazionali. Dal canto suo, il neo presidente iraniano Hassan Rohani ha promesso «nuovi passi» per arrivare alla «revoca» delle sanzioni internazionali contro il nucleare. Ma i primi segnali non sono incoraggianti, sebbene oltre cento esponenti del Congresso degli Stati Uniti abbiano firmato una petizione in cui chiedono al presidente Barack Obama di impegnarsi di nuovo con l’Iran in merito al suo programma nucleare. In particolare nel documento si legge che Obama dovrebbe «cogliere l’occasione per perseguire nuovi negoziati bilaterali e multi-laterali una volta che Rohani arriva al potere». La lettera esprime il sostegno per usare tutti i mezzi diplomatici al fine di far ripartire i colloqui sul nucleare.

Nonostante ciò, la Camera dei Rappresentanti a Washington ha approvato nuove sanzioni contro l’Iran, prima della pausa estiva, che prevedono limiti ancor più stringenti all’industria petrolifera iraniana, già oggetto di pesanti sanzioni, così come per altri settori come quelli minerario e automobilistico. Questo «complica ancor di più» la ricerca di una soluzione diplomatica al dossier nucleare, ha subito tuonato il ministero degli Esteri iraniano.

Hassan Rohani è stato eletto a sorpresa al primo turno delle elezioni presidenziali del 14 giugno scorso. Ha fatto già discutere la dichiarazione, rilasciata venerdì da Rohani, in cui parla, in continuità con la retorica di regime, di Israele come di una «ferita» e di «un corpo estraneo da estirpare». Nel suo primo incontro con la stampa, dopo la sua elezione, Rohani era apparso più prudente, aveva parlato di Siria, nucleare e rapporti con gli Stati Uniti. «Stop all’ingerenza Usa negli affari interni dell’Iran», aveva chiesto Rohani, aggiungendo che i rapporti tra i due paesi sono «complicati da una vecchia ferita».

In merito alla Siria, il neo-eletto presidente si era detto contrario a ogni intervento militare, aggiungendo che «la crisi sarà risolta dal voto dei siriani (previsto per il 2014, ndr)». Ed è passato al contenzioso sul programma nucleare. La speranza di Rohani è di raggiungere un accordo garantendo maggiore trasparenza, senza assicurare alcuna concessione sulla sospensione dell’arricchimento dell’uranio. Il moderato ha definito «inique e ingiustificate» le sanzioni imposte contro l’Iran in merito al programma nucleare.

Ma il tema di primaria importanza per Rohani resta la crisi economica. La scorsa settimana in un intervento in Parlamento Rohani ha riferito sullo stato dell’economia. «Per la prima volta dopo la guerra Iran-Iraq abbiamo trascorso due anni consecutivi di crescita economica negativa», ha avvertito Rohani, che ha fatto della lotta contro la crisi il primo punto della sua campagna elettorale. Non solo, il futuro presidente ha stigmatizzato l’impressionante crescita del tasso di inflazione, che tocca il 42%, valore superiore di 10 punti alle stime fornite dall’amministrazione Ahmadinejad.