Manifestazioni come quelle dei giorni scorsi non si vedevano dal 2009, quando il movimento verde d’opposizione guidato da Mir-Hossein Mousavi e Mehdi Karrubi era stato sconfitto. In quelle elezioni segnate dai brogli, il presidente ultra conservatore Mahmoud Ahmadinejad era stato confermato per un secondo mandato ed era stata repressa ogni forma di dissenso.

ORA COME ALLORA, i motivi per protestare non mancano. In questi giorni, sono evidenti le ragioni economiche, a cominciare dall’abolizione dei sussidi a un quarto della popolazione (9 euro al mese per 20 milioni di abitanti) e dall’aumento dei prezzi annunciato dal governo del presidente Hassan Rohani che dal suo predecessore aveva ereditato una situazione economica dissestata. In mancanza degli investimenti stranieri auspicati, ha deciso di aumentare del 70 per cento il costo della benzina (che passerà da 0,20 a 0,34 centesimi di euro al litro) e del 40 per cento luce e gas. Vengono triplicate le multe stradali e la tassa per recarsi all’estero che passa da 14 a 44 euro per il primo viaggio e a 88 euro per i successivi: cifre di tutto riguardo se si pensa che nell’ultimo anno sono stati 9 milioni gli iraniani che si sono recati all’estero. Questi aumenti, che dovrebbero diventare effettivi il prossimo anno che inizia il 21 marzo 2018, potrebbero innescare un’inflazione senza precedenti.

Dopo un periodo di recessione, l’economia della Repubblica islamica ha recuperato, l’inflazione è in calo ma il tasso ufficiale di disoccupazione è al 12,4 per cento. Nonostante l’accordo sul nucleare, molte sanzioni contro l’Iran restano in essere e se ne preannunciano di nuove, gli investimenti stranieri non arrivano e il business fatica a decollare.

COLPA DI ROHANI? Così la pensano in molti, tant’è che gli sono state indirizzate persino minacce di morte. In Iran ci sono persone arrabbiate perché non riescono ad arrivare alla fine del mese, altre che ce l’hanno con l’inquinamento e l’incapacità delle autorità di gestire un disastro annunciato, quello ambientale.

A scendere in strada sono gli operai che non ricevono lo stipendio con regolarità, i tanti che hanno perso il lavoro, i pensionati, i piccoli risparmiatori che hanno perso tutto con la crisi bancaria di qualche anno fa, per la corruzione e la mala gestione degli istituti di credito. Proteste di routine, che vanno avanti da qualche settimana, ma che giovedì si sono fatte più forti nella città nordorientale di Mashad. Una città importante nel panorama dell’Islam sciita perché qui si trova il mausoleo dell’Imam Reza, l’ottavo legittimo successore di Maometto, e ha sede la potente fondazione presieduta dal conservatore Ebrahim Raisi che ad aprile aveva sfidato il presidente moderato Rohani cercando di sfilargli la poltrona. Che le proteste si siano fatte sentire più forti a Mashad, dove sono stati urlati gli slogan che invocavano la morte di Rohani, non dev’essere stato caso.

DAL PRETESTO ECONOMICO agli slogan politici, il passo è breve. Nella confusione di questi giorni, si è sentito di tutto: «Benedetta sia l’anima dello scià», «Non vogliamo la Repubblica islamica», «Abbasso la dittatura!», «Non Gaza, non il Libano, la mia vita per l’Iran» lasciando a intendere che gli iraniani sono esasperati per le campagne ideologiche e militari nei paesi della regione, non ultimi la Siria e lo Yemen dove l’Iran è stato ed è tuttora protagonista di guerre per procura che costano parecchio.

ALL’UNIVERSITÀ DI TEHERAN alcuni studenti hanno persino invocato le dimissioni del leader supremo Ali Khamenei. Al di là delle motivazioni economiche, le proteste hanno quindi assunto connotazioni politiche. Ed è ovvio che si tratta della resa dei conti tra fazioni politiche contrapposte, ai vertici della Repubblica islamica dell’Iran. Fazioni in cui l’ex presidente Ahmadinejad gioca ancora un ruolo di tutto rilievo: mantiene legami saldi con i capi dei pasdaran e delle milizie bassij, è stato criticato perché in uno degli ultimi terremoti sono crollati i nuovi edifici costruiti nell’ambito del programma Mehr da lui promosso, alcuni dei suoi collaboratori sono finiti nel mirino della magistratura per corruzione e reati finanziari, e di recente non ha esitato a criticare Ali Khamenei che non gode di ottima salute e di cui si prepara la successione.

IN REAZIONE ALLE PROTESTE, le autorità iraniane hanno accusato di sedizione i manifestanti e biasimato agenti di paesi stranieri per l’organizzazione delle proteste sul web, la polizia in tenuta anti-sommossa ha arrestato decine di persone, e ieri sono state organizzate dimostrazioni – (secondo l’agenzia di stampa Afp ben più numerose di quelle di protesta di questi giorni) pro Repubblica islamica con migliaia di sostenitori vestiti di nero.

INTANTO, I MEDIA, occidentali e non, hanno acceso i riflettori sull’Iran. Da Washington il presidente americano Trump ha twittato: «Il mondo vi sta a guardare». E il dipartimento di Stato ha chiesto a tutte le nazioni di «sostenere pubblicamente il popolo iraniano e le sue istanze per i diritti di base e la fine della corruzione». Dichiarazioni scritte con cura, in cui sono omessi i termini diritti umani e dittatura. Dichiarazioni che ricordano, in qualche misura, il sostegno dell’opinione pubblica internazionale al movimento verde del 2009.

* Lecturer, International Relations of the Middle East Università della Valle D’Aosta