Il 3 agosto il presidente moderato Hasan Rohani dovrà cedere la poltrona di presidente della Repubblica islamica all’ultraconservatore Ebrahim Raisi eletto lo scorso 18 giugno al primo turno, in elezioni senza concorrenti e quindi senza ballottaggio. Al posto di Raisi, a capo della magistratura iraniana è stato nominato Gholam-Hossein Mohseni Ejei.

Da pochi giorni in carica, pare che Ejei abbia già fatto danni: il 12 luglio la magistratura iraniana ha infatti avocato a sé il diritto di concedere e revocare le licenze per esercitare la professione forense. Le nuove norme esautorano l’Ordine degli Avvocati e distruggono così del tutto l’indipendenza della professione legale. Su questo argomento il manifesto ha sentito le avvocate iraniane Shadi Sadr e Leila Alikarami, entrambe in esilio nel Regno Unito.

«La nuova norma colpisce in modo duro il diritto alla difesa, al punto che non resta più molto spazio per esercitare questo diritto umano fondamentale da parte di coloro che risiedono in Iran», commenta l’avvocata Shadi Sadr, condirettore dell’organizzazione non governativa «Justice for Iran» con sede a Londra il cui obiettivo è affrontare e sradicare la pratica delle violazioni dei diritti umani e l’impunità dei funzionari della Repubblica islamica dell’Iran. Classe 1974, in cella nella prigione di Evin a Teheran dal 2007 al 2009, Shadi Sadr aggiunge: «La sede dell’Ordine degli Avvocati era stata occupata dalle forze rivoluzionarie nel 1981 e fino al 1997 era stata gestita da una persona nominata dalla magistratura. Soltanto nel 1997 vi furono le elezioni del comitato dei direttori, per la prima volta dalla Rivoluzione del 1979».

Promotrice della campagna «Un milione di firme» per fare pressione contro un sistema giuridico che penalizza le donne, nonché Sakharov Fellow 2016, Leila Alikarami ricorda come «prima della Rivoluzione del 1979 l’Ordine operava in modo più o meno indipendente. Con l’avvento della Repubblica islamica, le autorità iraniane hanno intrapreso una serie di misure per minare l’Ordine degli Avvocati e controllare la professione forense. Una legge promulgata nel 1997, per esempio, diede al Tribunale Disciplinare per i Giudici il compito di approvare o rifiutare i candidati all’Ordine.

E anche oggi, il nuovo decreto del governo si pone come obiettivo smantellare l’Ordine degli Avvocati e dare alla magistratura tutte le prerogative relative alle licenze». Con il passare degli anni, aggiunge Alikarami, «le restrizioni e le minacce contro gli avvocati in Iran hanno fatto sì che molti legali abbiano evitato di difendere coloro che avrebbero avuto maggior bisogno. Ma alla fine, il risultato non è stato quello di mettere fine al dissenso. Al contrario, il risultato è stata la diffusione di una cultura di illegalità e di disprezzo della norma di legge, portando a maggiori tensioni e confronto tra stato e società».

Nelle carceri iraniane sono rinchiusi tanti prigionieri politici, e anche qualche decina di persone con doppia cittadinanza, iraniana e occidentale, utilizzate come pedine nel Grande Gioco mediorientale e come merce di scambio: «La diplomazia dovrebbe avere la meglio e i processi dovrebbero essere giusti per tutti, non solo per coloro che hanno doppia cittadinanza. Coloro che esercitano la professione legale e gli esponenti della società civile dovrebbero perseverare nel rispetto del diritto senza badare a chi è a capo della magistratura», precisa Alikarami.

A questo proposito, Shadi Sadr osserva: «La pressione internazionale funziona sempre, e infatti è una delle poche vie per migliorare il rispetto dei diritti umani in Iran. Nutro però qualche dubbio sulla volontà politica dell’Europa nel volere adottare una simile politica in modo efficace e coerente. Ho piuttosto l’impressione che l’Europa abbia altre priorità, come il nucleare, e tralasci invece il rispetto dei diritti umani». In ogni caso, conclude Sadr, «in un paese come l’Iran la situazione non può che peggiorare».