Per le strade di Tehran non si respira l’entusiasmo delle elezioni presidenziali del giugno 2013 che chiusero la controversa pagina dell’ex presidente ultraconservatore, Mahmud Ahmadinejad. Anche i siti vicini ai moderati, tra cui Kaleme, hanno espresso una certa freddezza per un rinnovo del Majlis (parlamento), segnato dall’esclusione di massa di centinaia di candidati. Sono più di 6.200 i candidati ammessi dal Consiglio dei Guardiani su un totale di 12.123 registrati.

Tra gli ammessi, 1.400 si sono ritirati all’ultimo momento. Parallelamente si svolgeranno le consultazioni per il rinnovo dell’Assemblea degli Esperti: un voto decisivo per gli equilibri di potere nelle istituzioni post-rivoluzionarie. Come al solito la campagna elettorale è durata appena pochi giorni. La vigilia del voto ha sempre segnato una fase di libertà politiche inconsuete per la Repubblica islamica e per questo è stata limitata il più possibile nello spazio e nel tempo.

Tutti temono un astensionismo record, se alle presidenziali del 2013 il 73% degli iraniani aveva voluto far sentire la propria voce per segnare la svolta moderata che ha riportato Tehran ai tavoli negoziali nei conflitti regionali, è possibile che la percentuale di votanti questa volta non superi il 60%, come avvenne alle presidenziali del 2009 che diedero la spinta decisiva per le accuse di brogli e le proteste dell’Onda verde. Ma potrebbe attestarsi anche molto più in basso e avvicinarsi al preoccupante 37% delle parlamentari del 2012.

Ritorna lo scontro tra riformisti e moderati, da una parte, e conservatori e ultra-conservatori, dall’altra, con qualche sovrapposizione tra i due schieramenti a livello locale. I candidati riformisti, vicini all’ex presidente Khatami, hanno chiesto ai loro sostenitori di recarsi alle urne, nonostante la consueta cancellazione di centinaia di candidati e gli arresti domiciliari a cui sono obbligati i due leader del movimento, Kharroubi e Moussavi, sin dalle proteste del 2011.

Dando un’occhiata alle liste elettorali della capitale Tehran, spicca il capolista Mohammed Reza Aref, il cui volto tappezza la metropolitana cittadina. Il riformista era stato escluso all’ultimo momento dalla corsa per le presidenziali per far convogliare tutte le preferenze sul moderato Rohani. Altre due figure politiche di rilievo compaiono nelle liste di Tehran: Ali Motahhari e Kazem Jalali. Sono politici vicini ai conservatori confermando quanto le distinzioni politiche tra la destra conservatrice e la coalizione moderati-riformisti sia spesso forzata nel confronto parlamentare. Tra le liste dei riformisti sono incluse otto donne, sei tra i conservatori.

Oltre 500 le candidate donne a fronte delle nove deputate elette nel parlamento uscente. Le liste dei conservatori in tutto il paese (a Tehran la guida Gholamali Haddad-Adel) sono popolate anche da ultra-conservatori: primi fra tutti Morteza Aghatehrani e Mehrdad Bazrpash, ex consiglieri di Ahmadinejad.

Questo voto è un test in politica interna per i moderati di Hassan Rohani che dovranno passare finalmente all’incasso dei risultati ottenuti in politica estera. Le autorità iraniane, dopo l’entrata in vigore dell’accordo sul nucleare, siglato a Vienna il 14 luglio scorso, sono in attesa che tutte le sanzioni internazionali contro il paese vengano cancellate. Il ministro iraniano del Petrolio, Bijan Zangeneh, ha confermato che Tehran è pronta a negoziare con i membri dell’Organizzazione dei paesi esportatori di Petrolio (Opec), inclusa l’Arabia Saudita, in merito agli effetti dei prezzi del petrolio sul mercato internazionale.

Il ritorno iraniano nel mercato petrolifero internazionale, con una produzione prevista di 500 mila barili al giorno, potrà avere delle conseguenze significative sulla produzione petrolifera proprio mentre i Paesi Opec intendono tagliare i livelli di produzione. L’Unione europea ha confermato l’annullamento del congelamento di fondi, approvato nel 2010, nei confronti di una delle principali banche iraniane, Bank Mellat. Tuttavia, nonostante la fine delle sanzioni, le banche europee sembrano ancora molto prudenti nell’accettare i pagamenti iraniani. In particolare, Emil Dall, analista del Royal United Services Institute, ha ammesso che le banche europee «temono ancora di essere coinvolte» nelle complesse reti di sanzioni Usa contro Tehran. Rafforzare Rohani servirà anche a dare un argomento in meno ai Repubblicani Usa per approvare nuove misure e portare una voce moderata ai tavoli negoziali sui conflitti in Siria e Yemen.