Alla fine gli stivali statunitensi tra Siria e Iraq saranno mandati: ieri il segretario alla Difesa Usa Carter ha annunciato il dispiegamento di forze speciali in Iraq per operazioni dirette, liberare ostaggi, catturare leader islamisti. «In pieno coordinamento con il governo iracheno, dispiegheremo forze straordinarie speciali per assistere soldati iracheni e peshmerga». Non solo: condurranno anche «operazioni unilaterali» in Siria.

Per ora nessuno dà numeri né tempi, ma la mobilitazione Usa giunge a pochi giorni da quella kurda e da quella irachena. Sabato il capo dei peshmerga, Jamal Eminki, ha annunciato le future operazioni kurde, su Tal Afar e Mosul. Quella Mosul che Erbil ha sempre negato di voler annettere al territorio kurdo, ma alla cui liberazione le forze di Barzani potrebbero prendere parte. Il posizionamento sul territorio da parte di Erbil è strategico: dopo la presa di Sinjar, a ovest, la seconda città irachena è circondata dai peshmerga.

Nelle stesse ore l’aviazione irachena lanciava volantini sui civili intrappolati a Ramadi: evacuate la città da sud perché in un giorno o due partirà l’attesa controffensiva. Diecimila soldati contro 600-1000 islamisti, secondo le stime Usa. Mentre la Francia bombarda dall’alto, all’esercito di Baghdad gli Stati uniti hanno fornito equipaggiamento anti-mine e bulldozer per far fronte alle difese erette dall’Isis intorno al capoluogo di Anbar.

È tempo di serrare le fila e definire le zone di controllo. In casa kurda la minaccia del sedicente califfato fa da collante in un periodo di crisi interna. A confrontarsi sono il sistema politico tradizionale – rappresentato dal partito di maggioranza, il Kdp del presidente Barzani – e il movimento riformatore Gorran, fazione nata da una costola del Puk. I metodi sono prevedibili: l’esclusione di Gorran dal governo di coalizione. Prevedibili anche le giustificazioni: evitare il caos mentre infuria la lotta contro l’Isis abilmente sfruttata – accusano le opposizioni –dal presidente Barzani che dopo due mandati e due anni di estensione accordatigli nel 2013 è ancora oggi ben saldo sulla poltrona.

La giustificazione per escludere Gorran dall’esecutivo è arrivata ad ottobre quando proteste anti-governative sono esplose nelle città orientali. Subito Erbil ha accusato i riformatori: «Le recenti violenze sono un piano deliberato di Gorran», ha detto Masrour Barzani, capo dei servizi segreti nonché figlio del presidente. Lo scontro non si è combattuto solo a parole: il 12 ottobre il premier del Kurdistan iracheno, Nechirvan Barzani, nipote del presidente, ha cacciato 5 ministri dal governo di coalizione. Al presidente del parlamento, Yusuf Mohammed, anche lui membro di Gorran, è stato impedito l’ingresso a Erbil dalle milizie del Kdp ed è ancora oggi bloccato a Sulaimaniya.

«Barzani ha le mani ovunque: quando accettammo di entrare nel governo pensavamo di poter avviare le riforme, ma il sistema politico è così corrotto da renderlo impossibile». Rabun Maruf, capogruppo di Gorran al parlamento kurdo, è diretto: lo incontriamo in un cafè, luogo insolito – ci dicono – per i politici di Erbil. «Alle elezioni abbiamo ottenuto il 24% e ministeri importanti: Peshmerga, Finanze, Affari religiosi e Industria. E la presidenza della commissione Investimenti – spiega al manifesto – Eravamo convinti di poter intaccare il sistema clientelare kurdo, ma il Kdp ci ha spogliato dell’autorità. Non solo non ha sostenuto le riforme, ma i nostri ministri sono stati tagliati fuori: quello delle Finanze non ha mai visionato il budget delle entrate petrolifere, quello dei Peshmerga non aveva alcun controllo sulle forze armate».

«Siamo sull’orlo del caos: la presidenza scaduta di Barzani è illegale, Erbil è controllata da milizie legate al Kdp, l’élite politica è diventata milionaria abusando dei propri uffici. Il sistema di corruzione che vige da 20 anni, dalla guerra civile tra Kdp e Puk, è uno dei peggiori della storia: è talmente radicato da apparire come un fenomeno normale eppure è il responsabile della crisi economica. Con l’Isis alle porte, il denaro del greggio scompare risucchiato dalla macchina della corruzione».

«Era normale – conclude Maruf – che le proteste esplodessero». Eppure il Kdp non esita a imputarne a Gorran la responsabilità: «Gorran ha sovrapposto le richieste popolari alla propria agenda politica – spiega al manifesto Safin Dezaee, portavoce del governo kurdo – A causa della crisi progetti statali sono stati bloccati, alcune aziende hanno dichiarato bancarotta, sono nate tensioni sociali. Gorran ha spinto sugli antagonismi a fini politici, si rischia l’anarchia. La democrazia fa credere alla gente che si possa parlare solo perché si possiede una bocca».

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