Ipotesi per una critica desiderante dell’esistente
Saggi «Crusing Utopia. L’orizzonte della futurità queer», di José Esteban Muñoz, per Nero edizioni. Contro il tempo lineare (straight) del capitale ri/produttivo, Muñoz si mette alla ricerca di un tempo eccentrico (queer) al presente, un tempo in cui il presente non è l’unica, soffocante dimensione dell’essere, un tempo-vortice in cui il passato e il futuro entrano in un’incandescente limitrofia sincronica
Saggi «Crusing Utopia. L’orizzonte della futurità queer», di José Esteban Muñoz, per Nero edizioni. Contro il tempo lineare (straight) del capitale ri/produttivo, Muñoz si mette alla ricerca di un tempo eccentrico (queer) al presente, un tempo in cui il presente non è l’unica, soffocante dimensione dell’essere, un tempo-vortice in cui il passato e il futuro entrano in un’incandescente limitrofia sincronica
«Una mappa di questo mondo che non includa l’Utopia non è degna di uno sguardo». È una citazione di Oscar Wilde il filo conduttore di Crusing Utopia. L’orizzonte della futurità queer di José Esteban Muñoz, saggio del 2009 che esce in Italia grazie al lavoro di cura e traduzione di Nina Ferrante e Samuele Grassi (Nero, pp. 270, euro 20). L’utopia di cui parla Muñoz, facendo leva sul pensiero di Ernst Bloch, è un’utopia concreta che, partendo dalla constatazione che «il qui e ora è una prigione», intende «spingere lo sguardo» verso «ciò che è là-per sorgere» tramite la ripresa delle «illuminazioni anticipatorie del non-ancora-conscio»; in breve, verso l’allora e il là del sottotitolo inglese.
PER MUÑOZ il queer è critica desiderante dell’esistente – non a caso parla di «sentire l’utopia» -, tanto radicale da spingersi fino alla destabilizzazione ontologica della temporalità. Contro il tempo lineare (straight) del capitale ri/produttivo, Muñoz si mette alla ricerca di un tempo eccentrico (queer) al presente, un tempo in cui il presente non è l’unica, soffocante dimensione dell’essere, un tempo-vortice in cui il passato e il futuro entrano in un’incandescente limitrofia sincronica. Il passato non è mai completamente passato perché, malgrado tutto, rimane «un campo di possibilità» dotato di una «forza performativa» in cui si annidano futuri inattuali e il futuro è un anacronistico orizzonte culturale e affettivo fondato sulla speranza, sulla potenzialità di disarticolare il presente per mezzo della rivitalizzazione di un passato latente da cui può scaturire la futurità. E viceversa.
«La disorganizzazione temporale» di Muñoz, che tanto ricorda le sopravvivenze di Warburg e il tempo-ora di Benjamin, è al contempo – ammesso che questo ulteriore binarismo possa avere un qualche senso – riflessione teorica e potente strumento politico trasformativo: «Questo calcolo temporale ha performato e utilizzato il passato e il futuro come argomenti per combattere la devastante logica del mondo del qui e ora, una versione di realtà che naturalizza logiche culturali come il capitalismo e l’eteronormatività».
Provincializzare il presente – con un gesto molto simile a quello con cui Karen Barad istituisce una sinonimia tra queer e natura – rappresenta pertanto un potenziamento della rivolta queer su più fronti: dall’«invalidante presente eterosessuale» al «pragmatismo dell’identità gay contemporanea», senza tralasciare le visioni “no future”. Il queer antirelazionale è, infatti, uno dei bersagli polemici di Muñoz sia perché il futuro non può essere ridotto al solo «futurismo riproduttivo bianco e normativo» sia perché il fatto che troppo spesso, «la speranza vada delusa non è una buona ragione per abbandonarla come processo di pensiero critico».
È QUESTA TEMPORALITÀ impura a rendere cruising l’utopia di Muñoz, a farla muovere lungo traiettorie rizomatiche, browniane e densamente erotiche, tese a disseppellire i bagliori di un deleuziano passato minore che, pur messo a tacere, continua a infestare la norma come «non-essere che incombe». E allora via in un’autentica deriva psicogeografica, da New York a Los Angeles degli ultimi decenni del secolo scorso, tra testi, fotografie, performance, teatri, locali underground, gay bar, concerti punk, incontri di sesso pubblico non eteronormato, sale da ballo, per rimettere in moto «l’immaginazione politica» e la «potenza collettiva».
Il queer di Muñoz è legato «indissolubilmente all’effimero», un effimero che va pensato «come una traccia, una rimanenza, ciò che resta sospeso nell’aria come un rumore». Un rumore perturbante che non smette di (far) sperare in un mondo altro che, insepolto, non ha mai smesso di percorrere spettralmente «la violenta furia del presente».
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