Per tornare a governare la Capitale «serve una visione, un laboratorio Roma 2020-2050», un «campo largo» e «una squadra dei migliori, non degli amici». In un’intervista su Fanpage.it la senatrice dem Monica Cirinnà risponde alle domande sulle voci di una sua candidatura al Campidoglio per il voto della prossima primavera. Il profilo competitivo del resto c’è, e la fa assomigliare alle protagoniste della «vie en vert» che ha vinto alle recenti amministrative francesi: ambientalista da sempre, Cirinnà è stata amministratrice con i sindaci Rutelli e Veltroni, è madre della legge delle unioni civili e militante per i diritti di Lgbt.

Nella Capitale che contiene lo Stato del Vaticano tanta laicità in genere non è un buon biglietto da visita, ma Cirinnà proviene da una famiglia cattolica. E conosce la politica. Come suo marito: oggi apprezzato sindaco di Fiumicino, è stato consigliere regionale di lungo corso, e reggente della Pisana nei giorni terribili delle dimissioni di Marrazzo dopo il tentato ricatto da parte di quattro carabinieri (2009).

Occasione del colloquio sono gli attacchi ricevuti per l’arresto del fratello minore Claudio, coinvolto in un’inchiesta sulla malavita romana. La senatrice racconta il suo dolore privato nonostante il giudizio netto sulle scelte di vita del fratello. Ma replica senza sconti ai suoi detrattori: «Chi mi attacca per l’arresto di mio fratello? Da romana potrei dire che sono dei poracci. La politica è una cosa, la vita pubblica è una cosa, la vita privata è un’altra».

Ma il cuore della conversazione è Roma. E Cirinnà non esclude l’idea della sua corsa. Sempre che si verifichino alcune condizioni. «Il mio sogno è avere delle primarie vere, dove a correre siano i migliori che il nostro mondo può mettere in campo: Carlo Calenda, Massimiliano Smeriglio, David Sassoli. E perché no anche Monica Cirinnà».

Dal suo partito per ora tutto tace. Ma già un’accoglienza così silenziosa non è un segnale incoraggiante. Per il Campidoglio negli scorsi giorni erano circolati anche altri nomi: l’ex premier Letta, oggi direttore dell’istituto di studi politici Science.po di Parigi, Davide Sassoli, presidente del parlamento europeo, e Roberto Gualtieri, ministro dell’economia.

Nomi – tutti di maschi – che più del resto indicano il profilo «istituzionale» che il Pd cerca per chiudere con la stagione delle improvvisazioni di Virginia Raggi. Ma, spiegano i ben informati delle strategie del Nazareno, la scelta non arriverà prima dell’autunno.