È  un’isoletta della Scozia fra le meno conosciute. Arrivando dalla terraferma, bisogna prendere un traghetto per la bella e verde isola di Mull, sulla sponda occidentale della Scozia, attraversarla fino all’altra costa, poi lasciare l’autovettura e salire su un altro traghetto molto più piccolo, in realtà poco più di una zattera, che in qualche minuto vi deposita sulla spiaggia di Iona.

MENO VERDE rispetto alle isole oggi più famose, come Skye, Iona è uno scoglio quasi piatto che si percorre agevolmente a piedi, da sud a nord e da est a ovest, nella stessa giornata; peraltro è giusto a piedi che ci si può muovere: i veicoli a motore sono vietati, tranne che per i residenti, che sono circa centocinquanta; e comunque non ci sarebbero strade, solo sentieri.
Iona è dominata da un’abbazia edificata alla fine del VI secolo; lasciata in rovina dall’affermazione calvinista in Scozia, è stata riedificata nella prima metà del Novecento ed oggi ospita una comunità cristiana ecumenica, le cui celebrazioni sono aperte a gente di tutte le confessioni e ai non credenti.
A pochi passi, un antico cimitero raccoglie le tombe dei re di Scozia, quelli più antichi dei quali poco è dato sapere, segnalate da croci celtiche incise. Le informazioni reperibili in loco indicano una spiaggia che fronteggia l’Irlanda, sulla quale sarebbe approdato nel 563 il monaco Columba con alcuni discepoli: furono loro a fondare il primo monastero, base di partenza per l’evangelizzazione della provincia; per questo Iona è rimasta un’isola sacra, di una sacralità che sembra di respirare ancora, o forse è soltanto la sensazione di pace che l’assenza di rumori, se non quelli del vento costante, accentua. Nelle belle giornate, che non sono moltissime, l’acqua cristallina del mare può ricordare le isole caraibiche; i pellegrini che arrivano ancor oggi lasciano piccole colonne di conchiglie sulla spiaggio a ricordare il loro passaggio.

I MONACI PROVENIENTI dall’Irlanda non erano come tutti gli altri. Nel V secolo un tale Patrizio, del quale poco e nulla si conosce, aveva dato vita a un’esperienza di monachesimo originale, che ricalcava i caratteri della civiltà celtica e si strutturava in comunità di villaggio ch’erano al tempo stesso monasteri. Secondo la tradizione era figlio di un diacono bretone, nato attorno al 390, rapito da pirati caledoni e venduto schiavo in Irlanda. Riuscito a fuggire, sarebbe venuto in Italia e poi nell’abbazia provenzale di Lérins da poco fondata, prestigioso centro di cultura e d’ascesi attraverso il quale la tradizione monastica orientale si andava impiantando in Occidente adattandosi ad esigenze nuove.

DA LÌ PATRIZIO sarebbe rientrato in Bretagna, e quindi in Irlanda. Consacrato vescovo d’Irlanda nel 432, vi diffuse il cristianesimo, probabilmente con il contributo di altri missionari, dei quali pure ben poco è dato sapere: nella seconda metà del V secolo l’Irlanda era già divenuta «l’isola dei santi». Vi si moltiplicarono i monasteri che – a somiglianza delle lavrai orientali – erano costruiti come piccoli villaggi nei quali le celle degli eremiti erano raggruppati attorno a quella del vescovo-abate.
Fedeli al vecchio principio monastico secondo il quale l’eremitismo è una forma ascetica più perfetta del cenobitismo, gli irlandesi avevano elaborato un loro sistema di vita anacoretica basato sul pellegrinaggio.
Secondo una tradizione già viva ai tempi della loro cultura precristiana, i monaci celto-ibernici intraprendevano su piccole imbarcazioni coperte di cuoio lunghi viaggi nell’oceano. Eredi degli audaci navigatori celtici, i monaci s’imbarcavano sulle fragili barche sulle quali approdarono, dal VI secolo, nelle Färoër, la Scozia, le Orcadi, l’Islanda; a piedi, sul continente, raggiunsero Francia, Fiandre, Germania, Italia.

NEI MONASTERI un’importantissima attività di conservazione e di copia di manoscritti di pregio, riconoscibili dallo stile delle miniature, davano vita a biblioteche all’interno delle quali non era perduta nemmeno la conoscenza della lingua greca, che nell’Occidente continentale si era andata abbastanza rapidamente cancellando.
Uno dei più famosi manoscritti miniati irlandesi, il Book of Durrow, è il primo contenente il Vangelo completamente decorato. Risale probabilmente al periodo 650-680, nonostante un’iscrizione successiva che riporta la leggenda che fu copiato da Columba in persona nell’arco di dodici giorni. Non è ancora chiaro se sia stato prodotto a Iona o in Northumbria sulla costa orientale del nord dell’Inghilterra, dove si trova un’altra isola (se non per una sottile striscia di terra che le maree coprono due volte ogni 24 ore) sacra: Lindisfarne.
La Cronaca d’Irlanda fu certamente compilata a Iona fino al 740 circa; e soprattutto si ritiene che il Book of Kells, l’opera più celebre del monachesimo irlandese, sia stato prodotto dai monaci di Iona negli anni precedenti all’800: esso contiene i quattro testi evangelici illustrati da splendidi capoversi miniati, decorato con innumerevoli illustrazioni e immagini in un tripudio di colori. Anche se incompiuto, è un meraviglioso esempio di arte altomedievale: lo si trova in esposizione permanente presso la biblioteca del Trinity College di Dublino.
Proprio intorno all’800 i monasteri irlandesi cominciarono a essere colpiti dalle incursioni vichinghe: alcuni fra i più celebri, come Iona e Lindisfarne, erano particolarmente esposti per la loro posizione litoranea. L’abbazia di Iona fu attaccata per la prima volta nel 795, poi ancora nel 802, 806 e 825. Durante il saccheggio dell’806, decine di monaci furono massacrati; molti fuggirono verso la nuova abbazia di Kells in Irlanda, dalla quale avrebbe preso il nome il celebre Libro, che vi giunse forse all’epoca, forse un po’ più tardi, nella seconda metà del secolo insieme alle reliquie del fondatore Columba.
Tuttavia, l’abbazia non fu abbandonata del tutto, forse per il significato che rivestiva. Certamente fu impoverita del suo patrimonio librario che seguì le peregrinazioni di questi monaci itineranti. Insieme con loro i libri viaggiarono per l’Europa, fungendo da modello per altre scriptoria; poiché la pergamena era molto costosa, i giovani monaci che imparavano la tecnica dell’amanuense, si esercitavano su tavolette di cera, alcune delle quali sono giunte fino a noi.

ATTRAVERSO L’AZIONE dei monaci irlandesi si diffuse nelle isole prima, nel continente poi, una nuova forma di penitenza strettamente legata all’itineranza; si tratta del sistema di «penitenze a tariffa» collegato al «pellegrinaggio penitenziale»; le penitenze che i monaci (e più tardi anche i laici) erano chiamati a scontare venivano elencate in testi noti come «penitenziali», certo scritti su manoscritti meno preziosi di quelli che contenevano testi sacri, ma comunque presto adottati anche in altri contesti come quello germanico.
Gradualmente il monachesimo benedettino, sponsorizzato dai franchi della dinastia carolingia, prese il posto di quello irlandese; ma grazie ai loro libri ormai sparsi per l’Europa è rimasto il ricordo di questi monaci che riuscirono a essere al contempo eremiti e pellegrini, appassionati evangelizzatori ed eredi della tradizione celtica precristiana.