L’esclusione risuona nel prologo, Giovanni è «malato» non può giocare a pallone con Paolo. Con uno scarto temporale, ritroviamo i due fratelli adulti che nell’intimità casalinga si scontrano con le loro diversità e solitudini, la delicatezza del primo si infrange nel machismo dell’altro. Costruito per flash back, Ion è la storia di una famiglia del Sud che l’autore e regista Dino Lopardo percorre nella sua lingua di origine, trovando nelle sonorità consonantiche di quella terra selvaggia e silenziosa nella provincia di Potenza le parole per narrarla. E denunciare.

UN TESTO stratificato e ricco di richiami già nell’etimologia dei nomi, per parlare di fragilità e di consunti cliché, di disagio mentale ma anche di amore fraterno disperato, in un contesto sociale asfittico e imbigottito da una religiosità falsa e pruriginosa, che tocca anche toni comici quando Giovanni sull’inginocchiatoio confessa al prete il suo onanismo infantile. Una scenografia semplice nella sua artigianalità, ma articolata ed evocativa di mondo familiare passato – madre e padre defunti di cui permangono i retaggi nel danno provocato a Giovanni. La mobile struttura metallica si modula diventando porta d’accesso a una dimensione onirica, confessionale o gabbia, in dialogo col testo drammaturgico. Il cui ritmo è incalzante nei feroci duetti dei fratelli, per sciogliersi nei lirici momenti di Ion.

FORSE SOLO una caduta di didascalica ingenuità porta nel finale alla superflua sottolineatura delle stigmate e la parola omosessuale viene pronunciata. Vincitore del festival InDivenire, Ion si è guadagnato due date allo Spazio Diamante, piccola occasione di visibilità nel calderone teatrale romano per il Collettivo Itaca, riunitosi proprio intorno al progetto di questo spettacolo. Nato da un’idea di Andrea Tosi (Giovanni), in scena con il bravo Alfredo Tortorelli (Paolo) e l’iconica madre di Iole Franco.