Salvo colpi di scena, non servirà il ballottaggio a Bucarest per eleggere il Presidente della Repubblica di Romania. Il capo di stato uscente Klaus Iohannis vola verso la riconferma questo fine settimana con il 45,7% delle preferenze secondo i sondaggi Imas.

«Non dovrebbe essere una novità per nessuno il fatto che voglio un sistema di giustizia più equo e una lotta efficace contro la corruzione», ha ribadito Iohannis in merito a un tema diventato una vera e propria questione nazionale, spingendo migliaia di romeni in piazza a più riprese negli ultimi anni contro il governo del Partito Social Democratico (Psd).

Stavolta i principali rivali dell’ex sindaco di Sibiu, nato da una famiglia della minoranza sassone in Transilvania, sono Mircea Diaconu del Partito Nazionale Liberale (Pnl) – formazione a cui apparteneva lo stesso Iohannis – dato al 16,7% e Dan Barna del partito macronista anticorruzione dell’Unione Salvate la Romania, che non dovrebbe andare oltre il 14%.

Iohannis può contare sul sostegno di buona parte della «diaspora», gli oltre 3.5 milioni di cittadini romeni residenti all’estero a cui è stato consentito di andare a votare già da venerdì. Un decreto firmato in estate dallo stesso Iohannis ha portato a tre i giorni di apertura dei seggi per la diaspora, misura per facilitare le operazioni di voto per i rumeni all’estero dopo il caos organizzativo delle ultime elezioni europee vinte poi dal Pnl.

A maggio scorso molti romeni non hanno fatto in tempo a imbucare la scheda nell’urna tra file interminabili e in un clima di snervante attesa. Una situazione in cui la delusione era sfociata in rabbia come quando decine di romeni si erano ritrovati a battere i pugni sui muri dell’ambasciata romena all’Aja in segno di protesta.

La probabile conferma di Iohannis al primo turno non porta con sé nessun terremoto nella politica romena anche perché un vero scossone già c’è stato qualche settimana fa: il 10 ottobre il parlamento aveva disarcionato con una mozione di sfiducia il governo targato Psd della prima ministra Viorica Dancila. Dancila è originaria del distretto di Teleorman, feudo del Psd nel sud paese, lo stesso da cui proviene l’ex numero uno del partito Liviu Dragnea a cui restano ancora da scontare tre anni di carcere per abuso d’ufficio.

«Il Psd sarà il più coriaceo, il più aggressivo e il migliore partito all’opposizione che questi dilettanti abbiano mai visto. Tutto questo perché siamo l’unico partito che ha aumentato salari e pensioni e migliorato il tenore di vita in Romania», ha dichiarato all’agenzia di stampa romena Agerpres l’ex prima ministra. anche lei in corsa per la presidenza.

Come molte altre formazioni populiste al potere nei paesi dell’Europa centrale il Psd agita lo spauracchio del restringimento del welfare e la fine delle politiche sociali per racimolare voti. Il Psd può contare ancora su un discreto sostegno da parte della popolazione all’interno dei confini del paese, soprattutto nella fascia degli elettori più anziani.

Intanto da lunedì scorso il primo ministro a Bucarest è un Orban che di nome fa Ludovic. Esponente del Pnl ed acerrimo nemico di Dancila, negli ultimi mesi Orban aveva accusato l’ex premier di alto tradimento per aver spostato a marzo l’ambasciata della Romania da Tel Aviv a Gerusalemme senza aver consultato prima Iohannis. Orban spera di poter traghettare il paese fino alle prossime elezioni parlamentari in programma nel 2020.

Una vittoria di Iohannis porta con sé la promessa di una stagione politica meno conflittuale in Romania dopo anni di coabitazione forzata tra l’attuale presidente e il Psd.