È solo questione di ore prima che i quattro designati dalla ministra dell’università Stefania Giannini ottengano il parere favorevole della Commissione cultura della Camera, ultimo scoglio prima di entrare nel Consiglio direttivo dell’Anvur, l’agenzia nazionale di valutazione dell’università. Chi volesse farsi un’idea, può leggere sul sito del Miur le linee programmatiche da loro presentate al momento di candidarsi. Una lettura istruttiva e non priva di sorprese.

Paolo Miccoli cita il volume Venere allo specchio, «di cui ha personalmente scritto l’Introduzione». Quel «personalmente» sembra un avverbio di troppo. O forse no. Alla luce delle curiose coincidenze, documentate sul blog www.roars,it, tra pezzi, non virgolettati, dell’elaborato di Paolo Miccoli e brani tratti da quattro fonti non citate, potremmo persino pensare ad un lapsus. Il resoconto dell’audizione in commissione diffuseo da M5S riporta che Paolo Miccoli ha attribuito al caso la coincidenza tra l’espressione del suo pensiero e ciò che si trovava scritto in altri testi.

A suo modo rivelatore di strati profondi è pure ciò che scrive Daniele Checchi, secondo il quale le classifiche di riviste scientifiche «sono diventate un criterio di scelta quasi obbligatorio per la sottomissione di articoli». Meno sottomissione obbligata e più spontaneità per Susanna Terracini, che, lanciandosi in ardite metafore neuro-botaniche, auspica una «valutazione approfondita su base volontaria» perché solo così si «avvera quella sinapsi fra ricerca accademica e società civile che rappresenta la linfa ed il fine ultimo sia della ricerca che della formazione superiore». Raffaella Rumiati, pur avendo più di dieci pagine a disposizione, se l’è cavata con un tema di una pagina e mezza. Poche ma sentite parole all’insegna del verbo «dovere» che ricorre non meno di dieci volte su 427 parole. Se si considera che il compenso annuo dei componenti del direttivo è pari a 178.500 Euro per un mandato di quattro anni, le sue sono anche parole d’oro: più di 1.600 euro l’una.

La ministra Giannini era tenuta a designare quattro componenti entro una rosa di quindici nominativi, a loro volta indicati da un apposito Comitato di selezione che ha scremato ben 121 candidature. A dire la verità, pure gli elaborati degli altri undici selezionati si prestano a chiavi di lettura, per così dire «post-ideologiche». D’altronde, le categorie tradizionali appaiono del tutto insufficienti a incasellare chi scrive che «Il più grande timore mio e della mia compagna è che, se mai qualcosa ci sottraesse prematuramente ai nostri figli, questi possano comunque essere portati a crescere con la mente aperta e pronti ad immergersi nella complessità del Mondo senza timore. Molto ho con lei discusso sul fatto che il mio eventuale periodo di lavoro in Anvur li priverebbe della mia presenza durante la settimana. Più ne discutevamo, più emergevano aspetti positivi: il vivere appieno e intensamente i weekend di ricongiungimento famigliare, le frequenti loro gite in una splendida Roma, la rapidità del Freccia Rossa per le emergenze, ecc.».

Presi tutti assieme, quattordici dei quindici elaborati sono una specie di versione accademica dei temi scolastici raccolti dal maestro Marcello D’Orta nel volume «Io speriamo che me la cavo». Al punto che i deputati M5S hanno presentato un’interrogazione al Miur perché siano resi noti i criteri di selezione. Ma le speranze di cavarcela non sono per niente buone, se pensiamo che è da questa rosa che l’anno prossimo verranno selezionati altri due nuovi componenti del direttivo Anvur. Al di là delle amenità, rimane il dramma dell’università italiana, oggetto di riforme ad alto tasso di ideologia, che offrono il milieu ideale per una nuova razza di ambiziosi scalatori accademici.

*Roars.it