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Io ho paura, chi è morto l’aveva scacciata

Io ho paura, chi è morto l’aveva scacciata

La scelta di vivere Invidio chi è saltato in aria ieri a Manchester perché non aveva paura, mentre io ho paura tutti i giorni. Invidio chi è saltato in aria ieri a Manchester perché […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 24 maggio 2017

Invidio chi è saltato in aria ieri a Manchester perché non aveva paura, mentre io ho paura tutti i giorni.

Invidio chi è saltato in aria ieri a Manchester perché ha obbedito semplicemente al proprio desiderio. Ha desiderato andare a un concerto e, semplicemente, si è organizzato per riuscirci.

Ha chiamato qualche amico oppure no; ci è andato in macchina, a piedi, oppure in bicicletta; e quando è arrivato è stato contento di esser lì.

Invidio chi è saltato in aria ieri a Manchester, perché la paura se l’è tenuta in tasca e ha deciso di usarla in occasioni più preziose o più propizie. Ha scelto di stare insieme agli altri a condividere qualcosa, invece di barricarsi dentro casa. Ha pensato che fosse più importante, o più piacevole, andare ad un concerto invece che chiudere le tende per non essere guardato. O forse non ha pensato proprio niente, ed è uscito per istinto.

Invidio chi è saltato in aria ieri a Manchester perché si è sentito sicuro in quello che faceva. Perché si è sentito insicuro in altre cose; sul prendere o lasciare, sul come dire o chiedere qualcosa, sullo sguardo che vedeva nello specchio, sul modo in cui aiutava il proprio figlio da crescere, sul modo in cui, da figlio, vedeva i genitori invecchiare senza sapere come arrestare la caduta, su come si fa ad assomigliare a quello che si vorrebbe diventare senza averne le istruzioni.

Invidio chi è saltato in aria ieri a Manchester perché non aveva paura, mentre io ho paura tutti i giorni quando vedo i soldati sotto la finestra della mia camera da letto. Invidio loro che non avevano paura mentre io chiudo le tende prima di andare a dormire, perché trattengo il respiro tutti i giorni mentre passo davanti alla loro camionetta; perché io sento il cuore in gola quando vedo il dito già poggiato sul kalashnikov, e perché quando li oltrepasso sento quanto è inerme la mia schiena.

Invidio chi è saltato in aria ieri a Manchester perché ha fatto una cosa normale, mentre io cambio marciapiede quando vedo i militari armati a pochi passi; perché mi sale l’ansia quando vedo che l’autobus deve fare una gimkana tra due cingolati appostati sulla strada; perché mi preoccupo se, quando lo guardo da dietro la finestra, il soldato armato di kalashnikov sta con lo sguardo tutto conficcato nello smartphone e non si guarda attorno.

Invidio chi è saltato in aria ieri a Manchester perché la paura non gli ha fatto così tanta paura da bloccargli i piedi al pavimento. E invece io sento i miei che si stringono dentro le scarpe per colpa dei kalashnikov. Perché se ne sono fregati della frase scritta ovunque, e ovunque ribadita: perché, cioè, hanno ignorato quel percussivo “per la vostra sicurezza” che rende insicuro ogni passo che facciamo, che ci fa spaventare a ogni angolo di strada.

Li invidio, perché hanno ignorato le regole basilari di ogni rissa: che se alzi le mani, chi hai di fronte colpirà. Che se tiri fuori il fucile, chi hai di fronte sparerà.

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