Sono consapevole che un paese come l’Italia non è per niente sedotto dai movimenti di secessione in Europa. Da una parte potrebbero risvegliare conflitti territoriali interni; dall’altra, movimenti di questo tipo in Italia nascondono, o sono, sfacciatamente di taglio fascista, razzista, nettamente non solidali.

Ciononostante scrivo queste righe. Sono uno degli oltre 40.000 volontari che si sono messi a disposizione per l’organizzazione della consultazione sull’indipendenza della Catalogna.

Sono tanti i motivi che hanno spinto una grande maggioranza di catalani a rivoltarsi in modo assolutamente pacifico. Ci sono ragioni storiche, politiche e, come no, anche economiche che giustificherebbero la richiesta catalana di indipendenza. Sarebbe troppo lungo descriverle qui. Per cui mi limiterò ad appellarmi a un solo concetto: dignità. Quattro anni fa il governo spagnolo, allora guidato da Zapatero, si rifiutò di rispettare la legge approvata dal parlamento catalano e ratificata con un referendum ufficiale. Sia il partito socialista che il partito popolare si opposero a una legge che, paradossalmente, tanti catalani consideravano il minimo indispensabile. L’attuale presidente del consiglio, Rajoy, ha fatto addirittura un giro della Spagna raccogliendo firme «contro i catalani».

Da quel momento si è cominciato a organizzare una serie di manifestazioni tra le quali vorrei ricordare soltanto le più spettacolari, la catena umana da una parte all’altra della Catalogna, nel settembre 2013 e la «V» umana, nel settembre 2014. Manifestazioni assolutamente pacifiche e festose alle quali hanno partecipato circa 2 milioni di persone, cioè più di un quarto della popolazione catalana.

Il nostro parlamento ha chiesto in tutti i modi al presidente del consiglio di trovare una soluzione; è stata presentata una proposta di legge che permettesse un referendum ufficiale. Ma l’80% del parlamento spagnolo ha votato contro. Il paragone con il caso scozzese è così clamoroso che non servono altri esempi. Arrivati a questo punto i partiti catalani favorevoli al referendum, di sinistra e di destra, i due terzi della camera, usando le prerogative della legge catalana hanno convocato una consulta ufficiale. Che il governo spagnolo ha bloccato: in tre giorni, in fretta e furia, è riuscito a convocare il consiglio di stato, il consiglio dei ministri e la corte costituzionale. A quel punto il governo catalano ha deciso di fare un consultazione popolare chiedendo l’aiuto dei volontari. Di nuovo il tribunale costituzionale l’ha bloccata. Questa volta, però, il fatto diventa di una gravità assoluta: non solo il governo Rajoy considera che il governo catalano non può organizzare legalmente un referendum, ma addirittura nega ai catalani la possibilità di esprimersi. Perciò, anche se volevamo un referendum, siamo stati in tanti a votare. Vorremo dagli altri concittadini la comprensione e il sostegno che, credo, dovrebbe essere concesso a chi chiede il diritto di riprendere in mano il governo di se stesso, senza armi e con un sorriso.

*Direttore dell’Istituto di Ricerca in Culture Medievali dell’Università di Barcellona