Una festa di compleanno, un padrone di casa pignolo e molti invitati. Alcuni di loro arriveranno in ritardo – o non arriveranno affatto – alla cena che il professor Darwish ha organizzato per i 21 anni di sua nipote Salma. Inizia così Abbracciarsi sul ponte di Brooklyn, romanzo di Ezzedine Choukri Fishere – originario del Kuwait, già noto ai lettori per alcuni suoi bestseller usciti negli Stati Uniti – pubblicato in Italia da Brioschi Editore (traduzione di Elisabetta Bartuli, pp. 242, euro 18).

L’ANZIANO DOCENTE ha programmato tutto in modo impeccabile, ma non ha tenuto conto degli imprevisti. Così la cena rischia di saltare. Il perché sia tanto importante per Darwish è spiegato già nelle prime pagine: è malato, ha deciso di ritirarsi a vita privata e vuole comunicare la sua decisione alle persone che ha frequentato nella sua vita familiare e professionale.

EX ALUNNI, cognati, amici, semplici colleghi: tutti sono diretti a New York, dove alle 20 in punto, li aspetta Darwish. Sulla strada per la Grande Mela si dipanano percorsi paralleli di vite che non esistono più, di storie passate e antichi amori. Sullo sfondo l’Egitto, abbandonato da alcuni, ritrovato da altri. Sono, infatti, quasi tutti egiziani trapiantati negli Usa i protagonisti di questo romanzo corale – che sembra ricordare il sistema solare, con Darwish al centro e gli altri che, girando su se stessi, gli girano intorno. A differenza di tanti altri romanzi mediorientali, nei quali la lontananza dal paese d’origine è vissuta come un’amputazione dell’anima, dove l’esilio è un dramma irrisolto che condiziona l’intera esistenza, in queste pagine i personaggi hanno ben chiaro il loro destino. Ciascuno è consapevole dell’importanza della propria decisione, ognuno sa cosa sia più giusto, se restare o partire. In alcuni casi anche ritornare.

Con la stessa solennità malinconica con cui, solitamente, si affronta il tema dell’esilio, Fishere lascia scorrere il flusso di coscienza e di ricordi di ciascun personaggio. Quelli di Darwish in particolare: le ore che precedono la cena, grazie al ritrovamento di un vecchio libro, si trasformano in un’epifania proustiana che trascina l’anziano docente tra i ricordi: gli amori, le donne che gli hanno attraversato la vita, le delusioni, gli errori.

L’EGITTO, COSÌ LONTANO e diverso dal luogo in cui ha scelto di restare a vivere, New York. Un luogo che invece sua figlia Leila ha trovato estraneo, decidendo di fare ritorno al Cairo. C’è anche un’analisi introspettiva, ma poco onesta, del rapporto di Darwish con i propri figli: una veduta su quel rapporto irrisolto che è l’altro grande tema dell’opera. L’anziano genitore cerca di ripercorrere gli eventi, prova a spiegare a sé stesso gli avvenimenti, cercando per sé un’assoluzione.

A fare da contorno all’esistenza del professore ci sono i suoi curiosi invitati: Yussef, Rabab, Adnan, Luqman e la festeggiata Salma. Ciascuno, nel raccontare le proprie vicende, mostra l’appartenenza alla stessa terra, l’Egitto, a volte rinnegata, ma che rimane ancorata nel cuore come un rampicante.

Pur presentandosi come un tragicomico racconto di una cena finita – o mai iniziata – male, il libro di Fishere, ci pone di fronte alla necessità di fare i conti con noi stessi, quasi come un impellente bisogno di chiudere i conti con il proprio io. Ciascuno – personaggio o lettore che sia – in queste pagine, sarà costretto a farlo. E forse era proprio questo l’obiettivo dell’autore.