Il 6 marzo Andrea Zampi, un piccolo imprenditore 43enne, ha ucciso con una Beretta semiautomatica Margherita Peccati, 46 anni impiegata con un contratto a termine, e Daniela Crispolti, 61 anni, e ancora pochi mesi per andare in pensione dopo una vita passata al lavoro per la regione Umbria. Subito dopo Zampi si è tolto la vita perché l’ente ha negato un finanziamento alla sua azienda.

Il 5 aprile A Civitanova Marche, Romeo Dionisi, 62 anni, operaio disoccupato che aveva iniziato a lavorare con la partita iva da muratore, la moglie Anna Maria Sopranzi, 68 anni e Giuseppe Sopranzi, 72 anni, fratello di quest’ultima, celibe e convivente con la coppia, si sono tolti la vita il 5 aprile in una tragica triangolazione di affetti disperati e un debito di 15 mila euro con le banche e l’Inps che Dionisi non riusciva a onorare a causa di un credito non pagato dai suoi datori di lavoro.

Il 28 aprile, mentre il governo Letta giurava al Quirinale davanti al presidente della Repubblica Napolitano, il muratore disoccupato di 46 anni Luigi Pietri voleva attentare alla vita di un politico in piazza Montecitorio, ma è stato bloccato da due carabinieri contro i quali ha esploso sei colpi della sua 765. Non ha fatto a tempo a ricaricare la pistola. Anche lui voleva uccidersi. Pietri ha perso il lavoro per la crisi dell’edilizia ad Alessandria dov’era emigrato da vent’anni, ha accumulato debiti di gioco, ma sembra che continuasse a lavorare occasionalmente come freelance a Rosarno, dov’era tornato a casa dei genitori dopo la separazione dalla seconda moglie.

Ogni vita è una storia a sé, soprattutto quando decide di terminare la vita di qualcun altro, infliggendosi anche la suprema punizione del suicidio. Questa doppia sanzione segue la stessa logica negli ultimi due casi citati, quello di Perugia e di Roma: colpire una persona che rappresenta l’istituzione colpevole di un fallimento individuale. Il triplice suicidio di Civitanova è invece un “suicidio anomico”, così lo avrebbe definito Emile Durkheim nello suo studio del 1897. In quest’ultimo caso è stato il gesto di chi non riesce a sopportare improvvise perturbazioni economiche che abbassano il livello dello stile di vita. Il nipote di Romeo e Anna Maria, il commerciante Sergio Sopranzi di 47 anni ha assicurato che fino a due anni fa la coppia conduceva una vita “normale” senza difficoltà economica. La crisi ha fatto precipitare tutto.

Questa classificazione può risultare sin troppo fredda, visto che si sta parlando di tragedie. È così, ma ci sembra purtroppo utile per arrivare a leggere in controluce la loro trama, cercando di scoprire il modo in cui la crisi ha colpito queste esistenze, spingendole a scelte estreme. Ciò che le accomuna sono i ritardi dei pagamenti da parte del pubblico o di un privato che a cascata complica la vita di persone che svolgono attività precarie, intermittenti o sono disoccupate. Sempre più spesso lavorano gratis, costretti a indebitarsi per continuare a lavorare.

I finanziamenti alle imprese e alla formazione

Zampi aveva un’agenzia che formava sarti e stilisti. Nel 2009 aveva ottenuto un finanziamento europeo di 160 mila euro. Sembra però che alla sua azienda mancassero alcuni requisiti previsti dalla normativa per ottenere una convenzione dalla Regione Umbria. Zampi cade in depressione e viene sottoposto a cure psichiatriche. Negli ultimi tempi era stato anche costretto a ricoverarsi in ospedale. Venti giorni prima dall’omicidio-suicidio si è visto negare definitivamente i fondi approvati quattro anni fa. I suoi genitori hanno confermato: “I soldi della regione vanno solo agli amici dei politici”. “Siete massoni, mi avete rovinato” avrebbe urlato Zampi prima di compiere la strage.

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La sua è stata una vendetta, impotente, contro il meccanismo di spartizione delle risorse pubbliche usate dagli enti locali per finanziare le imprese. La motivazione potrebbe rispondere ad un’allucinazione dell’omicida-suicida, ma è piuttosto verosimile. Parla del sistema degli appalti e dei subappalti in tutta l’economia pubblica italiana, e comprende anche la spartizione dei fondi europei destinati alla formazione e all’avviamento d’impresa. Una vera manna da decine e decine di miliardi erogati a fondo perduto da almeno vent’anni.

Vivere, lavorare gratis e indebitarsi

Negli ultimi due anni della sua vita Romeo Dionisi ha coraggiosamente incarnato la condizione del lavoratore freelance in Italia. Sua moglie lo aveva convinto ad aprire la partita Iva, a fare il muratore e lui aveva accettato ad un’età in cui non è facile compiere simili scelte. L’azienda per cui ha lavorato per più di un anno non lo ha pagato. Avanzava un credito di 10 mila euro.

A quel punto Romeo ha capito che la sua situazione era disperata. Ha chiesto un prestito alle banche, ma la sua partita Iva gli ha complicato ancora di più la vita. Doveva presentare il Durc, il documento sulla regolarità contributiva e previdenziale che l’Inps impone sia alle imprese che alle partite Iva individuali. Senza questo documento che attesta il versamento dei salatissimi contributi (il 27,2% che sarà innalzato dalla riforma Fornero al 28% nel 2013, fino al 33% nel 2018), chi ha una partita Iva si vede negare il pagamento delle sue fatture. Dionisi si è trovato in un circolo vizioso: i suoi datori di lavoro non lo pagavano. E avrebbero continuato a non farlo senza il Durc che non lui non poteva presentare perché non aveva versato i contributi all’Inps. Non lo ha fatto perché non aveva i soldi. Andando avanti così non avrebbe mai accumulato i contributi per andare finalmente in pensione. Per questo ha chiesto un prestito alle banche per un totale di 15 mila euro.

Romeo non era un esodato ma di fatto era come se lo fosse. Come molti altri disoccupati di età avanzata si è dato da fare con la partita Iva, ma è crollato a causa della legislazione impazzita che regola il lavoro indipendente nel nostro paese.

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Un sistema in tilt

L’ultimo caso, quello di Luigi “Gino” Preiti, non è isolato. Prima di lui, l’11 agosto 2012, sempre a piazza Montecitorio, Angelo di Carlo, 54 anni, originario di Romama da anni trasferitosi a Forlì, padre di sei figli, si è dato fuoco ed è morto dopo un’agonia di 8 giorni.  il 18 ottobre 2012 Florian Dorian, romeno di 55 anni, residente a Pinerolo, sposato con una figlia, autotrasportatore, si è dato fuoco in piazza del Quirinale perché era rimasto disoccupato e, dopo una serie di cause contro la sua ex azienda si era rassegnato. Preiti ha deciso di prendere una pistola e, prima di rivolgerla contro se stesso, l’ha usata contro chi si è frapposto davanti ai suoi fantomatici bersagli.

In tutte queste storie è difficile negare il collegamento tra il suicidio-omicidio con una crisi che è allo stesso tempo economica, amministrativa e politica. L’opacità dei meccanismi che governano la distribuzione dei finanziamenti o la giungla della legislazione previdenziale potrebbe essere senz’altro risolta da un intervento governativo. Cosa mai avvenuta fino ad oggi. Anzi, quando un governo è intervenuto su queste materie, come la riforma Fornero sulle pensioni o quella sul lavoro dimostrano, ha complicato ancora di più le cose.

Gli esodati che avevano accettato un piano di ristrutturazione dell’impresa nella certezza di ricevere la pensione al massimo entro due anni e si sono di colpo ritrovati senza salario e senza pensione. Poi ci sono i lavoratori in esubero ma in Cassa Integrazione. A causa della riforma vedono allontanarsi la data in cui potranno accedere alla pensione, ma non potranno ricevere trattamenti di mobilità al termine della Cassa integrazione. Una confusione impressionante alla quale bisogna aggiungere gli invisibili come Romeo Dionisi che hanno lavorato tutta la vita in maniera precaria, non hanno raggiunto l’età minima pensionabile, ma cercano di raggiungerla disperatamente. Sono ben più di 300 mila, la stima ufficiosa degli esodati. Di loro non parla nessuno.

Il reddito minimo per tutti

Un governo che volesse dare un segnale radicale di discontinuità dovrebbe istituire una legge sul reddito minimo per tutte le categorie dei lavoratori in difficoltà: dai laureati disoccupati a coloro che aspirano ad andare in pensione, anche se non hanno ancora maturato i contributi.

I tre casi principali che abbiamo raccontato sono avvenuti nel mondo del lavoro indipendente o precario: muratori disoccupati, ex disoccupati con la partita Iva, un piccolo imprenditore legato fino alla morte ai finanziamenti pubblici. Tutti soggetti che non beneficeranno della Cig che il governo Letta, su pressione dei sindacati, si affannerà a finanziare per un miliardo e mezzo.

Il segretario della Cisl Bonanni ha detto che la Cig è alternativa al reddito. Un’affermazione grave, ma che purtroppo interpreta il nuovo clima che si è instaurato negli ambienti governativi dopo i primi fuochi sul reddito minimo. Il mantra è: “non ci sono soldi”, per il momento non è il caso di intervenire. I soldi invece ci sono e si possono prendere dalle spese militari, dalle grandi opere e da una seria ristrutturazione degli ammortizzatori sociali.

La Cig, da sola, non basta minimamente per risolvere una crisi che va ben al di là del mondo del lavoro dipendente.