Lunga marcia per l’europeizzazione delle relazioni dell’Unione europea con la Cina, finora dominate da intese bilaterali. Una tappa è stata superata ieri, con il vertice – virtuale, avrebbe dovuto aver luogo a Leipzig – tra lo staff della Ue (i presidenti di Consiglio e Commissione, Charles Michel e Ursula von der Leyen, con Angela Merkel, perché la Germania ha la presidenza semestrale) e il presidente cinese, Xi Jinping. L’obiettivo è di arrivare a un accordo, entro fine anno, tra Bruxelles e Pechino sugli investimenti, per avere da parte degli europei una garanzia di reciprocità. La marcia sarà ancora lunga, il negoziato dura da sette anni, l’appuntamento è per un prossimo vertice nel 2021.

Josep Borrell, Mr.Pesc, ha ammesso che la Ue «è stata ingenua» nei confronti di Pechino, ormai domina la diffidenza, un anno fa Bruxelles ha definito la Cina «rivale sistemico» a causa della distorsione dei mercati, delle limitazioni della concorrenza, delle forzature per ottenere dei trasferimenti di tecnologia. Ci sono poi questioni politiche: l’Europarlamento ha chiesto «sanzioni mirate» contro la Cina a causa della repressione degli uiguri, c’è stata qualche reazione, anche se modesta, dopo la repressione a Hong Kong, c’è una tensione sotterranea per la gestione iniziale del Covid, oltre a frizioni su vari fronti della politica internazionale.

Ieri, si è raggiunto un accordo preliminare tra Ue e Cina sulla protezione reciproca di 100 prodotti che beneficiano dell’«indicazione geografica». La Ue chiede inoltre alla Cina di chiarire il rispetto degli Accordi di Parigi, che Pechino sostiene di voler rispettare. Nel comunicato finale, la Ue ha espresso ieri «grave preoccupazione» per la situazione del rispetto della democrazia a Hong-Kong e «serie preoccupazioni» per il rispetto delle minoranze etniche.

Ma, la di là dell’ultimo round di ieri per trovare un accordo sugli investimenti, per la Ue è in gioco la definizione del proprio ruolo internazionale. Bruxelles non usa i toni guerrieri degli Usa nei confronti della Cina, non ha aderito al «fronte comune transatlantico» proposto da Donald Trump a giugno, ma ha difficoltà a trovare un equilibrio su una politica cinese, che è in piena gestazione. Il 19% dei beni importati dalla Ue provengono dalla Cina. Gli investimenti cinesi in Europa, da anni in crescita (pur avendo subito un calo negli ultimi tre anni), mettono i paesi in posizioni differenti, che permettono a Pechino di giocare la carta bilaterale: dopo la Gran Bretagna, primo paese di investimento per la Cina, segue la Germania, l’Italia è al terzo posto.

Quindici paesi – tra cui Grecia, Portogallo, Italia – sono entrati unilateralmente nel girone dell’iniziativa Belt and Road, irritando Bruxelles. Per gli investimenti europei in Cina, la Germania è al primo posto, seguita dalla Francia, l’Italia è al settimo. L’export tedesco in Cina è stato di quali 100 miliardi di euro nel 2018, quell’anno Volkswagen ha venduto più di 4 milioni di auto e ha una fabbrica nello Xingiang, la terra degli uiguri. Di qui la prudenza nel mettere in avanti le questioni umanitarie. La Germania è anche più elastica su Huawei e il potere cinese sul 5G rispetto ad altri paesi Ue.