Avere tredici anni e rispondere ad un quesito di matematica su «quanti sono i precari tra i 25 e i 34 anni in Italia?». È successo ieri a 600 mila studenti che hanno affrontato la prova Invalsi per l’esame di terza media, comprensiva di una domanda sui lati positivi della saga di Harry Potter. Per i ragazzi che hanno dovuto interpretare il grafico, fare il totale e stabilire la percentuale dei precari, questa condizione non dev’essere del tutto sconosciuta. È anzi possibile che i genitori rientrino nella stessa categoria, pur avendo qualche annetto in più. Ciò che questi ragazzi, come i loro genitori, non sanno è che precario è anche chi ha elaborato il quesito di ieri. All’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi), con sede a Villa Falconieri a Frascati in provincia di Roma, ci sono 40 precari (tra ricercatori, amministrativi, informatici e collaboratori di ricerca) e 25 assunti a tempo indeterminato. Nell’ente commissariato da Paolo Sestito, alto funzionario della Banca d’Italia in carica dal febbraio 2012, c’è chi lavora da più di dieci anni, dopo avere firmato fino a 25 contratti tra co.co.co e tempi determinati. A maggio 2013 si sono concluse le prove di un contestatissimo concorso per 13 posti a tempo indeterminato che sono stati vinti da 12 interni e da un esterno. Sin dal luglio 2012, insieme ai sindacati, i precari storici hanno contestato i profili scelti dall’istituto perché discriminavano la loro storia professionale. Sono partiti i ricorsi ma, in attesa dell’esito, Sestito ha bandito un nuovo concorso a tempo determinato per 28 posti della durata di un anno. Le domande pervenute sarebbero all’incirca 300, ma chi lavora da una vita per l’Invalsi oggi non ha alcuna certezza di continuare la sua attività. Il prossimo 30 dicembre il suo contratto non sarà più rinnovato perché i revisori dei conti sostengono che non ci soldi. Queste persone rischiano di perdere il lavoro e dovranno sostenere una guerra per un posto con i loro colleghi. Una situazione grottesca per un ente sul quale anche il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza ha puntato il futuro della scuola. Nel prossimo anno scolastico dovrebbe entrare in vigore il regolamento sulla valutazione che estenderà l’attività dell’Invalsi alle scuole, e non più solo agli studenti delle materne e delle medie. Il progetto prevederebbe anche l’estensione delle prove agli esami di maturità. L’Invalsi si prepara a svolgere questi compiti con 25 assunti e 40 precari che «scadono» a dicembre e non sanno ancora se il loro contratto sarà prorogato nel 2014 (come prevede un accordo già firmato). A sostegno interverrà un plotone di consulenti esterni, ma è chiaro che l’Invalsi non ha le forze per sostenere un simile compito. Un paradosso che emerge nelle ore in cui il governo Letta ha annunciato l’assunzione di 3 mila ricercatori a tempo determinato nell’università, ma non negli enti di ricerca. In più bisogna considerare che l’Invalsi non è molto popolare nel mondo della scuola. Lo è per una serie di ragioni complesse che dipendono dalla natura della valutazione. Molti temono che l’imposizione della valutazione abbia caratteri discriminatori tali da cambiare la didattica. Da trasmissione di saperi e conoscenze, la scuola rischia di trasformarsi in un luogo dove si insegna a rispondere ai quiz che saranno vincolanti per il futuro scolastico e professionale dei bambini e degli adolescenti. I ricercatori dell’Invalsi che abbiamo interpellato non nascondono questo rischio. Credono tuttavia che una «cultura della valutazione» possa attivare un «processo di auto-valutazione» tra gli attori della scuola, permettendo allo stesso ministero di capire su quali istituti intervenire. Sulla valutazione è in corso in Italia un conflitto che ha investito lo stesso vertice dell’Invalsi che non ha un presidente. Il responsabile sarà un economista o un ingegnere, un fautore dell’econometria oppure un pedagogista sostenitore di una valutazione più comprensiva della soggettività dello studente o del ricercatore? Al momento, anche la valutazione, il suo significato, e la stessa istituzione restano precari.