Più o meno tutti i teorici della letteratura – da Michail Bachtin a Wayne Clayson Booth a Jurij Lotman – ritengono che un «sistema di valori» sia implicito in ogni costruzione narrativa. Naturalmente, perché si verifichi un fatto estetico c’è bisogno – come avverte Bachtin – che siano in gioco due coscienze non sovrapponibili: «Quando l’eroe e l’autore coincidono o si trovano l’uno accanto all’altro di fronte a un valore comune, o l’uno contro l’altro come nemici, finisce l’evento estetico e comincia quello etico».
I viziosi che abbiamo prelevato per esporli nella galleria formata da queste pagine sono dunque esempi della tipica lotta tra i codici morali dello scrittore di turno e quelli del personaggio, una entità che ha riguadagnato terreno nella considerazione critica, dopo che la concentrazione della teoria narrativa sulla forma del testo lo aveva relegato al secondo piano. Era una reazione, quella dei vari formalismi, alla tradizione di stampo etico-umanistico, che amava vedere nei personaggi letterari l’incarnazione di vizi e virtù morali, e li investiva del potere di saltar fuori dalla pagina per sbandierare significati esistenziali e culturali, come fossero gli attanti di un pamphlet, o i soggetti di una requisitoria, o i protagonisti di una invettiva.
Contro queste cattive abitudini di lettura, tutta l’attenzione era stata ritirata dagli eroi dei romanzi e spostata sulla costruzione della pagina e sulla sua struttura linguistica, fino alle radicalizzazioni di Boris Tomaševskij, secondo il quale: «L’eroe non è un elemento necessario alla fabula».
Mentre sottraggono i personaggi al ruolo di funzione letteraria e li riabilitano al primo piano, queste pagine propongono di consolarci con i loro vizi. Abbiamo escluso dall’appello caratteri troppo noti e anzi emblematici – Oblomov, Madame Bovary, Bouvard e Pécuchet, Barthleby e mille altri possibili – cercando di sorprendere sul fatto eroi un po’ meno frequentati. Ce ne sarebbero molti altri, è vero, ma… si sono nascosti.