Il dizionario Oxford ha scelto l’aggettivo «tossico» come la parola dell’anno. Gli atteggiamenti razzisti, omofobici e neofascisti che hanno portato alla presidenza (in ottobre) Jair Bolsonaro in Brasile confermano la validità di tale scelta anche per l’America latina.

L’anno che si conclude ha visto oscillare il pendolo della storia a destra. Nelle presidenziali di fine dicembre dell’anno scorso in Cile come pure in quelle di quest’anno in Costa Rica (febbraio), Paraguay (aprile) e Colombia (maggio) si sono imposti i candidati della destra più o meno radicale.

Il successo (giugno) di Andrés Manule López Obrador in Messico dopo quasi 80 anni di governi corrotti e inefficenti non sembra poter riequilibrare l’asse politico del subcontinente. Tanto meno la contestata riconferma (maggio) alla presidenza di Nicolás Maduro in un Venezuela isolato e minacciato di intervento militare da parte degli Usa – e dai loro alleati-sudditi – a causa di una drammatica crisi umanitaria che la guerra economica di Trump ha contribuito ad amplificare, con i mass media scatenati a dipingere «lo storico esodo» di venezuelani a causa di tale crisi. Non è casuale che tutto questo accada quando – secondo le cifre del Latinobaròmetro – l’appoggio popolare alla democrazia ha perso otto punti in i meno di dieci anni, dal 61% nel 2010 al 53% nel 2017: oggi un quarto della popolazione dell’America latina non sembra far differenza tra democrazia e governo autoritario. Un panorama tossico, appunto, al quale ha contribuito la nuova alleanza tra le potenti Chiese evangeliche e le destre latinoamericane che acquistano in questo modo – eclatante il caso Brasile- una consistente base popolare che in precedenza non avevano.

Le responsabilità delle sinistre sono evidenti e pesanti, soprattutto dov’erano da anni al governo, come in Brasile e Argentina, per non aver puntato principalmente sulla formazione di una coscienza sociale e politica della popolazione.

O peggio, come in Nicaragua presieduta dal sandinista Daniel Ortega, per aver risposto con la repressione alle critiche e richieste di movimenti popolari, consegnandoli alle manovre destabilizzatrici degli Usa. L’anno che inizia dovrà essere di riflessione e autocritica. I dirigenti delle sinistre latinoamericane dovranno esclamare assieme al grande cantautore argentino Fito Páez, che dovrà battere nella società civile.

Dove già sono sviluppate lotte dal basso per la democrazia, come quella delle donne latinoamericane per il controllo del loro corpo di fronte alla legge e contro la violenza di genere: in alcuni paesi proclamano una società civile critica con il passato e impegnata a far fronte alla sfida di diminuire la diseguaglianza e rafforzare la democrazia e anche – come in Brasile- a salvarla. Dal basso si lotta e ci si organizza anche contro la piaga secolare della povertà e della violenza, come dimostrano le carovane di migranti del Centramerica dirette a varcare il muro degli Stati Uniti.

Pur fra grandi difficoltà, Cuba continua a resistere all’offensiva del neoliberismo e agli attacchi sempre più duri di Trump. Resiste e si rinnova. In aprile è iniziato il rinnovo generazionale, guidato dal neopresidente Miguel Díaz-Canel -che ha subito avvertito che continuerà la linea delle riforme socialiste- e a metà dicembre è stato approvato il testo della nuova Costituzione, che sarà messo a referendum il prossimo febbraio.