Non è il cardinale più famoso del tardo Rinascimento ma è un personaggio che merita una certa attenzione. Uomo di semplici origini, suddito dei Medici, nacque a Montepulciano negli ultimissimi anni del Quattrocento. La sua vera fortuna raggiunse l’apice ai tempi di Paolo III quando divenne, fra altre cose, maestro di casa del Cardinal Alessandro Farnese, forse l’uomo più potente di Roma e nipote del papa. Chi dice Farnese può anche dire Medici; fra gli uni e gli altri ci sono molte differenze ma ambedue le famiglie erano interessate al potere e alle arti e un accordo si trovava sempre per persone dotate delle stesse inclinazioni.
Verso la metà del Cinquecento il nostro uomo abitò in Vaticano dove aveva un appartamento che fece decorare da vari pittori. Era allora intrinseco di Giulio III risolvendo infiniti problemi finanziari e diplomatici della Chiesa in un continuo vai e vieni da tutti i paesi europei. Nel 1551 Giovanni Ricci diventa il Cardinal Montepulciano col titolo di San Vitale; era stato ormai nunzio in Portogallo e poi in Spagna dove aveva reso grandi servizi ai reali lusitani e a Filippo II. I doni inviati dal Ricci erano favolosi e riuscirono ad impressionare persino il re di tutte le Spagne.
Sfarzoso al massimo, il cardinale non si vantò mai delle proprie capacità. Da giovane fu giudicato un hombre sin letras ma il suo gusto fu sempre impeccabile e addirittura piuttosto originale. Aveva un che di intimo e di elegante che non fece ingelosire quasi nessuno eccezion fatta del Cardinale Carlo Borromeo (San Carlo, che non fu un santo verso il nostro cardinale a cui impedì due volte di sedere sul trono papale). Fu proprietario di due dei più begli edifici di Roma – quella che diverrà villa Medici al Pincio e il palazzo del Sangallo a via Giulia oggi noto come Palazzo Sacchetti – e si interessò anche di piccoli oggetti più curiosi che stupefacenti. Non era il lusso assoluto a interessarlo quanto l’insolito e il bizzarro. Riuscì persino a calmare l’aggressività di un Paolo IV (Carafa, 1553-’59) riempiendo il tavolo del papa di squisite porcellane (l’oro bianco dell’epoca, senza prezzo per gli altri ma facilmente accessibile al cardinale).
Per sé stesso creò un gabinetto di curiosità squisito e inviò puntualmente alla cognata Faustina ogni tipo di «rarità esotica». Eccolo scriverle da Lisbona nel 1547: «mando costà a Montepulciano un mio paggio. Farete che vada alla scola e che impari a leggere l’italiano… vi mando tre schiavi, due femine e uno maschio piccolino di quattro anni. La schiava grande che è di diciotto anni, sarà per servitio di Marietta. Il piccolino sarà per servitio di Julio come lui sia più grandotto… mando due casse che vengono dalle Indie. Li schiavi sono li più belli che si sia possuto trovare. Havete di advertire che non bevano vino perché subito sariano imbriachi. Vi mando due pappagalli, uno verde e l’altro bruttino e uno piccolino che piacendovi lo porrete donare a Camillo quando i suoi parenti non lo abiano per male». L’anno seguente invia delle «porzellane… di prezzo che per piccolo che sia costa più di due ducati el pezo perché sono trasparenti come gioie et vengono delle Indie… se le habia bona cura». Alcune di queste porcellane sono ancora in qualche museo italiano e un vaso Ming particolarmente importante si trova oggi a Bologna. Altre cose del genere che interessavano anche i fiorentini e soprattutto i Medici sono state ben studiate da Marco Spallanzani in libri che fanno sognare.
Per capire l’indole del Cardinal Ricci bisognerebbe visitare il suo palazzo che oggi purtroppo non vive uno dei suoi momenti migliori. La decorazione ha un carattere internazionale esplicito nella serie di fregi che decorano le stanze piuttosto agghindate e en enfilade. I pittori che li hanno ideati sono anche francesi (Marc Duval, Ponsio Jacquio per citarne solo due) e le varie scene sono spesso divise da stucchi degni di nota, non comuni a Roma eccezion fatta di quelli nel vicino Palazzo Spada, un particolare aspetto dell’arte romana cinquecentesca studiato attentamente da Sylvie Deswarte-Rosa (da cui prendo alcune informazioni) e da Nicole Dacos.
Il Cardinale acquistava dei mobili curiosi che non facevano parte del gusto abituale dell’Urbe: piccoli arredi di madreperla, oggetti esotici, damaschi e tappezzerie di tipo inconsueto. I rivestimenti parietali di cuoio impresso e dipinto, detti allora «corami», non furono una scoperta di Ricci ma ebbero in lui un assiduo estimatore: circa una ventina di ambienti del suo palazzo erano rivestiti di corami nei più svariati colori. Pochi oggi se ne conservano e quelli del Palazzo Chigi di Ariccia sono i più degni di nota anche se non rinascimentali.
Il più bell’ambiente di Palazzo Ricci è la superba Sala dell’Udienza affrescata da uno dei più estrosi pittori del momento, il fiorentino Francesco Salviati. Lo spazio quasi surreale in cui le scene vengono incorniciate in adornamenti che appaiono più veri del vero, persino quelli alla cinese, sistemati come gli originali in rotoli appesi, sembra «accostarsi ad un irrazionalismo spaziale e ad una libertà espressiva volutamente ignara di canoni e leggi veristiche».