La nota pubblicata in questa rubrica la scorsa settimana si chiudeva con l’affermazione che la figura del San Sebastiano eseguita da Antonello da Messina tra il 1478 e il 1479, “pare evocare Apollo, il dio delle perfezioni in equilibrio”. Mi propongo di specificare meglio e circostanziare questo accostamento per evitare che possa apparire indebito o suonare come una forzatura ad effetto. Aggiungo che, nella nota precedente, dopo il richiamo alla peste dell’Iliade portata dalle frecce di Apollo tra le schiere greche, si giungeva, in un cammino senza ostacoli, a Sebastiano, santo cristiano designato protettore dai contagi in virtù delle frecce del suo martirio.

Ma il dipinto di Antonello invita a ragionare su argomenti più sottili quale, tra gli altri, può considerarsi quello che menzionavo delle perfezioni in equilibrio. Un concetto che attiene, nelle interpretazioni del divino apollineo, a relazioni di ordine spaziale. Motivo dunque il raccordo da me istituito ricorrendo ad un confronto tra l’idea di spazio concepita in pittura da Antonello a rappresentare Sebastiano e l’idea di spazio che gli antichi sussumevano nella divinità di Apollo. L’arco e le frecce sono il segnacolo del dio che ha il dominio delle lontananze remotissime e oscure e delle prossimità vicinissime e abbaglianti: dalla fitta tenebra alla piena luce. La signoria apollinea della luce che istituisce, propriamente, lo spazio: fa vedere, rivela e, dunque, conferisce misura e dismisura; mostra il limite e infonde infinitudine, ovvero occultamento. Tale la potenza vastissima di Apollo, “arciere/che fa tremare gli dei mentre giunge alla dimora di Zeus:/ – canta l’Inno omerico – al suo avvicinarsi balzano in piedi/tutti, dai loro seggi, quando egli tende l’arco raggiante”.

È a dominare le vastità dello spazio che l’Inno avverte come ad Apollo siano “care tutte le cime, e le alte vette/dei monti sublimi, e i fiumi che si versano in mare,/e i promontori digradanti nelle acque e i golfi marini”. Vicino e lontano, abbaglio e buio, raggiunto e irraggiungibile, intimo e immemoriale connessi in prospettive plurime nel determinarsi di reciproci e continui scarti, secondo cesure e congiunzioni e trapassi, istituiscono le perfezioni in equilibrio delle quali gli antichi riconoscono l’inflessibile artefice in Apollo.

Perfezioni, geometrie ovvero compimenti, esiti. Sublimi armonie e dissoluzioni esiziali. Vita e morte. Tale una sommaria analitica dell’apollineo che invito a tener presente quando osserviamo la costruzione spaziale del San Sebastiano e cerchiamo di intenderla. Roberto Longhi ha parlato, a proposito della pittura di Antonello di “acrimonia prospettica”, per come egli si applica “quasi essenzialmente all’attuazione della monumentalità prospettica della forma umana”. E delle antonelliane, detto ancora con le parole di Longhi, “ricerche prospettiche – id est idealistiche – della forma umana”, il San Sebastiano costituisce il raggiungimento più alto, qui dove l’idealismo prospettico è compiutamente realizzato. Antonello si avvale di un ordinamento dell’area della tavola che calcola secondo la misura della base (85,5 cm) e corrisponde alla esatta metà dell’altezza del quadro (171 cm), e la divide in due quadranti uguali, superiore e inferiore.

Ad essi Antonello sovrappone un terzo riquadro della stessa misura e lo appoggia alla metà esatta del quadrante inferiore, a 42,7 centimetri dal bordo inferiore della tavola. Ottiene così tre universi prospettici. Ciascuno è elaborato nel rispetto delle sue cogenze interne e risulta in sé coerente, ma, nell’interferenza triplice, essi sono universi tali da determinare, moltiplicata e intersecata, una concertazione di dissonanze oblique e di armonie lineari simultanee, sillabate entro plurime linee di fuga. Accordi ragguardevoli per intensità e per variazioni di punti di vista concomitanti. Riconosci nella sinossi mobile di Antonello le perfezioni in equilibrio che abbiam detto costitutive dello spazio apollineo. Le note del Divano da cinque settimane sono dedicate ad opere che rappresentano altrettante meditazioni sull’epidemia e il contagio.

Forse mi sbaglio, ma una metodica apollinea credo si addica ad una indagine della “intimità delle lontananze” (Longhi) che la presenza del contagio viene diffondendo in noi.