«Ufficio in vendita a Napoli. Prezzo su richiesta, 5.600 metri quadrati di superficie»: questo l’annuncio pubblicato su Immobiliare.it da Intesa Sanpaolo Group Services Scpa per mettere sul mercato il Palazzo del Monte di Pietà.

Che non si tratti di un edificio qualunque lo dice la nota a commento delle foto: l’istituto venne fondato dai nobili napoletani, che acquistarono il palazzo da Girolamo Carafa dei duchi d’Andria nel Cinquecento. Scopo, combattere l’usura: i poveri potevano impegnare i loro averi, incluse le lenzuola, senza pagare interessi. L’edificio ha una lunga storia e una sua bellezza artistica: sulla facciata sculture di Pietro Bernini e Michelangelo Naccherino; all’interno affreschi di Belisario Corenzio, dipinti di Ippolito Borghese e Gerolamo Imparato; nell’antisagrestia il monumento Acquaviva di Cosimo Fanzago. E poi i mobili in legno intagliato di gusto rococò, i ritratti di Carlo di Barbone e Maria Amalia di Sassonia. In cortile opere di Belisario Corenzio e Battistello Caracciolo.

Per secoli ha continuato a funzionare come monte di pietà, dagli anni ’90 veniva aperto al pubblico interessato alla collezione del Banco di Napoli: dipinti, arredi e oggetti d’arte dal Seicento all’Ottocento.

Il Banco di Napoli nacque nel 1794 dalla fusione di 8 banchi dei luoghi pii, il più importante proprio il Monte di Pietà. Così una fetta del patrimonio storico artistico della città è stata custodita per secoli dalla banca cittadina, poi nel 2002 l’acquisizione del Banco da parte del gruppo Sanpaolo Imi e, nel 2006, la fusione con Banca Intesa. La crisi del Banco di Napoli è cominciata intorno al 1993: molti ormai raccontano apertamente come, a cavallo tra la prima e la seconda Repubblica, ci sia stata una manovra politica per cancellare la maggiore banca del Sud. Prima un’ispezione di Bankitalia nel 1995, poi nel 1996 la fusione con Bnl e Ina che servì a Bnl a recuperare i soldi persi con il crack della filiale di Atlanta cedendo il Banco al Sanpaolo Imi: comprato per 60miliardi e rivenduto per 6.000miliardi di lire. Un dato è eloquente: la Sga – Società per la gestione delle attività – ha rilevato dal Banco circa 6,4 miliardi di euro di crediti inesigibili o incagliati – il «buco» accertato nel 1995 – e al 31 dicembre 2016 è riuscita a recuperarne oltre il 90%. Dal 2003 Sga è in utile, nel 2016 è stata assorbita dal Tesoro e i crediti recuperati sono stati utilizzati nel Salva banche.

Tirando le somme, il Banco di Napoli, si dice, è stato utilizzato per tappare il buco della Bnl; poi è passato sotto il controllo del gruppo di Torino regalando così la capacità di raccolta credito nel Mezzogiorno al nord (Intesa reimpiega i capitali all’80% da Roma in su); ha aiutato recentemente le banche del centronord e adesso si può anche speculare con i tesori architettonici e le opere nei caveau. Perché, dicono voci tra i dipendenti, il Palazzo del Monte di Pietà potrebbe finire a qualche investitore per una cifra molto bassa: 10 milioni.

Non è l’unico elemento di preoccupazione. Intesa Sanpaolo ha la divisione Gallerie d’Italia che si occupa d’arte con tre sedi museali: Milano, Vicenza e Napoli. La sede partenopea è nel bellissimo Palazzo Zevallos Stigliano: edificio nobiliare, nell’Ottocento divenne sede della Banca Commerciale Italiana (anche questa assorbita da Intesa). La galleria di quadri che ospita è una delle più importanti, tra i capolavori spicca il Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio. Ma, raccontano i dipendenti, Palazzo Zevallos è già stato venduto: per ora le attività espositive proseguono, ma a fine anno dovrebbe cessare il fitto (dicono intorno agli 800mila euro all’anno) e la banca lascerà l’edificio.

Nel 2014, quando l’allora presidente Napolitano venne a Palazzo Zevallos, un gruppo di cittadini protestò: «Dipinti e sculture di Luca Giordano, Solimena, Traversi, Pitloo, Wan Vittel, Gemito… sono stati utilizzati dal gruppo Intesa Sanpaolo per Gallerie d’Italia. Adesso per vedere le opere che abbellivano le sedi del Banco di Napoli i napoletani dovranno pagare il biglietto». Magari tra qualche mese non si potranno più vedere del tutto. L’anno scorso i dipendenti della banca avevano chiesto che il Monte di Pietà venisse utilizzato come sede espositiva, per la messa a norma ci sarebbero voluti 2milioni 400mila euro. Poi è arrivato l’annuncio della vendita. Il comune ha chiesto alla Soprintendenza di rafforzare i vincoli sul bene, associazioni di cittadini e la Cgil chiedono che resti in mano pubblica come sede museale e per costituire un fondo antiusura.