«Non sono sorpresa dal voto dei turchi e dei kurdi in Europa: il risultato era ampiamente prevedibile». Seduta a un tavolino di un caffé italiano a Basilea, la politologa tuco-kurda (ma con passaporto tedesco) Bilgin Ayata tira fuori i dati delle elezioni del 2015: l’Akp di Erdogan aveva spopolato nelle comunità tedesca (la più numerosa), belga, francese e olandese, superando il 50 per cento, ma in Svizzera e Gran Bretagna era andato ampiamente al di sotto. Viceversa, qui aveva spopolato l’Hdp, il partito di sinistra radicale filo-kurdo (finito nella mannaia delle leggi d’emergenza post-golpe, con il leader Selahattin Demirtas in carcere insieme ad altri 3.850 suoi compagni). Un risultato che si è ripetuto nel voto di domenica: in Germania il 63 per cento ha votato sì, mentre in Austria (73 per cento), Belgio (75 per cento) e Olanda (71 per cento) il successo ha raggiunto proporzioni eclatanti.

La ragione, spiega Ayata, va cercata nella specificità dell’emigrazione turca e in particolare kurda e alevita soprattutto verso la Svizzera, che a partire dal golpe militare del 1980 aveva aperto le porte ai rifugiati. Qui il Pkk kurdo non è considerato un’organizzazione terroristica e la città di Basilea è l’unica al mondo che ha riconosciuto ufficialmente gli aleviti turchi, non considerandoli musulmani tout court.
Diversamente, l’emigrazione verso Germania, Belgio e Olanda è stata dettata prevalentemente da ragioni economiche e tra questi migranti (molti provenienti dalla povera Anatolia) il conservatorismo dell’Akp miete proseliti.

Questo spiega, a suo avviso, «la strategia di Erdogan» di puntare sui paesi in cui il consenso era più forte, per «bilanciare quel milione e mezzo di voti che sapevano avrebbero perso in patria per via delle numerose critiche all’operato del governo».

Una strategia vincente, nonostante i tentativi di impedire la propaganda in Europa.

Hanno fatto una grande campagna dove sapevano di avere una base elettorale consistente e un potenziale ancora più forte. Non a caso, hanno protestato con Germania e Olanda perché non hanno fatto parlare i ministri ma non con la Svizzera, che ha fatto la stessa cosa. Qui sapevano di non avere chance e non gli importava nulla. Alla fine ci sono riusciti, incrementando la partecipazione al voto e compensando in questo modo le perdite di consensi in Turchia.

Alla vigilia del voto, in Svizzera e Germania è scoppiato lo scandalo degli studenti e dei docenti controllati dai servizi segreti turchi nelle università tedesche.

Se n’è parlato molto ed è sembrata una novità. Ma noi ci siamo abituati fin dagli anni ’80. È una prassi che hanno utilizzato tutti i governi. Io stessa ho scoperto, attraverso Wikileaks, che una mia conferenza era stata registrata. Ci conviviamo e non ci fa paura.

Diversi opinionisti pensano che il divieto d’ingresso in Germania, Olanda e Austria ai politici turchi possa aver rinforzato il sì. Sono proprio i paesi dove il sì ha fatto registrare i maggiori consensi.

Per comprendere questo voto, bisogna guardare anche alla storia dell’emigrazione turca. Tranne che in Gran Bretagna e in Finlandia, in Europa non sono arrivati emigrati che fuggivano per ragioni politiche nensì per motivi legati alla povertà. Spesso provengono da piccoli paesi. È su queste persone che ha fatto leva l’Akp di Erdogan, sono loro la sua base elettorale. La Svizzera invece ha una sua singolarità: qui ci sono molti kurdi e turchi di sinistra perché gli sono state aperte le porte fin dagli anni Ottanta. La metà delle persone che vanno al voto qui lo fanno per la sinistra dell’Hdp.

Ne viene fuori una composizione sfaccettata delle comunità turche all’estero.

Mi faccia dire che gli europei non conoscono per niente l’emigrazione turca e kurda. La scoprono solo in occasioni come questa e si sorprendono. Vorrei chiudere con una nota ironica: c’è una grande discussione in Europa sul fatto che persone che vivono in uno Stato democratico possano aver votato per un regime autoritario. Non ho notato lo stesso dibattito quando l’Unione Europea trattava con Erdogan e la Germania stringeva accordi sull’immigrazione con la Turchia. In quel caso, non c’era un problema di democrazia e di violazione dei diritti umani? L’Europa forse non ha votato allo stesso modo dei turchi che ora sono stigmatizzati?