Che Mostra di Venezia sarà questa numero 76 che si apre domani? La domanda rituale della vigilia va stavolta oltre il Festival, gli ospiti, i film diventando: cosa accadrà alla fine della Mostra? Quest’anno è infatti l’ultimo della presidenza di Paolo Baratta dopo quasi due decenni che oltre al cinema hanno prodotto una trasformazione della Biennale tutta – danza, musica, teatro arte, architettura – in una macchina «creativa» internazionale di alto livello.
La successione preoccupa – e ancor di più se pensiamo al momento politico attuale – al punto che all’inaugurazione lo scorso maggio del Padiglione Italia il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, ha rilanciato la possibilità di prolungare la presidenza di Baratta – cosa che implicherebbe una modifica del decreto legislativo con cui si è stabilito il limite di due mandati.
Se questa edizione della Mostra verrà attraversata dagli interrogativi sul futuro è difficile dirsi –anche se Baratta e il direttore Alberto Barbera hanno consolidato una collaborazione piuttosto solida – ma certo la nuova presidenza apre intorno alla Biennale dubbi e incertezze.

LA MOSTRA sarà aperta da La vérité di Kore-eda Hirokazu, una scelta che suona come una «novità» e insieme una scommessa: per la prima volta negli ultimi anni non c’è un film hollywoodiano e La vérité è la prima opera che il regista giapponese, Palma d’oro allo scorso Festival di Cannes per Un’affare di famiglia realizza in Europa con attori francesi – Catherine Deneuve e Juliette Binoche, e americani Ethan Hawke. Sappiamo che per i registi abituati a lavorare nella propria lingua e nel proprio paese non sempre funziona.
Kore-eda in Italia non conosciutissimo è un grande regista e senz’altro La vérité era perfetto nel concorso: viene però il dubbio che la decisione di farne il film di apertura sia stata un po’ una necessità: forse un’assenza, un vuoto, una delusione?

LA COMPETIZIONE internazionale – presidente di giuria la regista argentina Lucrecia Martel – attraversa forme di cinema (e di produzione) molto diverse, l’Italia ha Franco Maresco (La mafia non è più quella di una volta), Mario Martone (Il sindaco del Rione Sanità) Pietro Marcello (Martin Eden), autori tutti «eccentrici» con una singolarità di immaginario, pensiero, sguardo.Si va poi da Joker al nuovo Polanski (J’accuse – l’ufficiale e la spia) a Larrain, Assayas, James Gray … tutti titoli «grandi»e pieni di star.
Rispetto a questa fortezza – e il concorso come si dice è il biglietto da visita di un Festival – ciò che c’è intorno, la trama generale appare più fragile, come se ci fossero dei «buchi».
E non si tratta di dire questo o quell’altro nome dei registi che sono al Festival di Toronto o al sempre più agguerrito New York Film festival – anche se The Irishman di Scorsese prodotto da Netflix in molti se lo aspettavano al Lido visto il prestigio che il colosso dello streaming ha ottenuto lo scorso anno col Leone d’oro a Roma di Cuaron. E certo per quanto riguarda soprattutto il cinema americano c’è un blocco degli studios in attesa dell’autunno: nessuno vuole rischiare o investire troppi soldi … Però non si tratta solo di questo, l’impressione è che nelle diverse sezioni «parallele» è la mancanza di relazione con quella «principale», nel segno della spettacolarità o della spregiudicatezza. Così tra Orizzonti e Sconfini non si comprende bene il senso o la sorpresa. Tutti da scoprire.