Tempo. Raffaella Paita, la candidata Lella che il Pd vuole alla presidenza della Liguria, arriva dieci minuti dopo le 14, con il passo di sempre: deciso, scattante, caffeinico. «Sono assolutamente serena, ho appena preso un caffè, ora vado e rispondo a tutte le domande». E poi: «La mia principale difesa è quella di dire la verità, non potevo dare l’allerta, non potevo esercitare un potere di quel genere». Chiaro? «Sono molto tranquilla e molto in attesa di dare le domande dovute». Che in verità sarebbero le risposte, perché a fare le domande ci penseranno le pm Dotto e Ciccarese.

I magistrati indagano sull’assessora alla protezione civile ipotizzando i reati di omicidio colposo, disastro colposo e mancato allerta. Il metal detector suona, ma chi se ne frega. Occhiali da sole, camicetta bianca, sobria giacca nera: così Lella Paita entra nell’ascensore accompagnata dall’avvocato Andrea Corradino. Segue l’addetto stampa; neppure lui sa bene cosa sia venuto a fare a palazzo di giustizia: la candidata indagata si farà delle domande, si darà delle risposte. Una cosa è certa: seguirà una conferenza stampa. La presenza dell’avvocato Corradino è una garanzia: il legale ha anche difeso l’«amico» Gigi Grillo, ex senatore Dc, spezzino pure lui, finito in carcere per il primo scandalo dell’Expo milanese.

Tempo, tra sei settimane di vota. I mesi che hanno preceduto il voto sono sembrati un magma infinito: primarie contestate, lo strappo di Cofferati, la destra pronta a schierare il «delfinone» di Berlusconi, Giovanni Toti. E ora, mentre deve fare i conti con l’inchiesta-alluvione, la corsa della Paita pare perdere altri pezzi per strada.

Tempo. In Liguria l’Ncd è intenzionato a correre da solo. In questo momento non può fare altro. Dettagli. Nelle prossime ore Paita perderebbe anche l’appoggio di un’altra parte del suo partito, il Pd. Non sono i «civatiani», già schierati con Luca Pastorino, uno che dai democratici è appena uscito. Qualche cosa è già emerso: Claudio Montaldo, vicepresidente e assessore regionale alla Sanità, si è presentato all’inaugurazione del point elettorale di Rete a Sinistra. Ma nelle prossime ore il dissenso dovrebbe allargarsi e diventare pubblico, con un manifesto firmato da alcuni esponenti storici del Pd. Indiscrezioni: tra i firmatari anche un assessore della giunta Burlando e un componente della squadra del sindaco di Genova Marco Doria. L’invito è al voto di coscienza: scegliere Pastorino come candidato presidente, libertà di preferenza per i consiglieri.

Tempo. L’interrogatorio dura quattro ore. C’è da ricostruire cosa sia davvero accaduto la notte tra l’8 e il 9 ottobre 2014. Alle 23.15 l’esondazione del Bisagno, pochi istanti dopo la morte per annegamento di Antonio Campanella. L’assessora ripete in conferenza stampa quello che avrebbe detto ai pm: «Io non c’entro». Spiegando che ci sono due decreti, uno del 2000 e l’altro del 2005, uno di Burlando e uno del suo predecessore forzista Biasotti, che «delegano alla direzione della Protezione Civile il compito di dare l’allerta». Insomma, la colpa si scarica su Gabriella Minervini, dirigente regionale. «Io non c’entro, alle 18 il bollettino dell’Arpal diceva che il maltempo si stava spostando verso Levante».

Tempo. «Il primo sms di un dirigente dell’Arpal mi avvertì di cosa stava accadendo nel Comune di Montoggio alle 22.05». Vero, l’assessora stava ad Albenga anche per pianificare una visita di Renzi e poi a un convegno a Finale Ligure, e nel pomeriggio si occupò «dell’emergenza autostradale, un’autocisterna che bloccò per l’intera giornata la circolazione da Ponente verso Genova». Vero. «Arrivo alla sede della Protezione Civile alle 23.50, entro dall’ingresso posteriore perché c’era già il fango altissimo». Fuori tempo massino: mezz’ora prima il Bisagno aveva ucciso ancora.