L’ossessione di alcuni parlamentari a voler regolamentare la libertà d’espressione su web sarebbe degna di ben altre cause, ma così non è. Per fortuna ancora una volta, e non senza impegno (soprattutto di Sel e 5 Stelle), il «bavaglio» ai blog e alla Rete attraverso la doverosa riforma della legge sul reato di diffamazione non è passato.

L’emendamento presentato dal deputato del Pdl Gianfranco Chiarelli alla legge sulla diffamazione alla fine è stato bocciato. La norma imponeva 48 ore per pubblicare la rettifica di informazioni presunte lesive sui siti Internet, una multa fino a 5.000 euro, l’oscuramento del sito fino a tre anni e l’arresto fino a cinque in caso di mancato adempimento alla legge. Evidentemente il Pdl la riteneva una necessità nonostante l’Articolo 595, 3° comma del codice penale già preveda la diffamazione su ogni mezzo e quindi anche Internet.

Dopo la discussione, l’obbligo di rettifica resta, ma solo per le testate digitali vere e proprie, registrate in tribunale come organi di stampa e dotate quindi di un direttore responsabile. Abolito del tutto invece – ed è un punto critico – il tetto ai risarcimenti da parte dei giornalisti, originariamente previsto.

La furia parlamentare contro il web – emersa in tutte le ultime quattro leggi presentate in materia – faceva leva su un punto cruciale: trattare i siti internet come testate registrate nonostante non siano ad esse equiparabili per forme di tutela e finanziamento, autorevolezza e responsabilità oggettiva dell’informazione prodotta. Lo ha sancito più volte anche la Cassazione. Con questi presupposti, la sordina ai blog sarebbe equivalsa a un’intimidazione nei confronti della comunicazione indipendente. 5mila euro di multa sono troppi per un blogger che nella vita fa un altro mestiere e magari non ha la possibilità economica di affrontare un processo che è, d’altra parte, inevitabile: l’accusa di diffamazione deriva infatti troppo spesso dal mancato riconoscimento di un diritto-dovere all’informazione, alla libera manifestazione del pensiero, alla critica e alla satira, sanciti dalla Costituzione, e non può essere sanzionata senza che venga approfondita in un dibattimento.

Anche dal punto di vista del giornalismo sarebbe stata una grave sconfitta. Con il bavaglio alla rete, il citizen journalist che per prossimità territoriale o capacità investigativa ha saputo prima e meglio di altri ciò che non è ancora noto all’opinione pubblica, agli inquirenti, ai diretti interessati, deciderà di stare zitto e non potrà più innescare quel circuito virtuoso tra vecchi e nuovi media che ha permesso nel tempo di portare all’opinione pubblica fatti di particolare rilevanza «sfuggiti» alla stampa più paludata. Per questo, Daniele Farina di Sel e i deputati M5S hanno parlato di censura. Alla fine ha prevalso il buon senso, perché la politica deve accettare che su blog e simili si sviluppino critiche e polemiche, anche aspre, che sono il sale della democrazia.