La nuova espressione da considerarsi al momento centrale in Cina è wangluo zhuquan, «sovranità digitale». Garantendo questo nuovo dogma sarà possibile sviluppare – secondo Pechino – una rete internet in grado di soddisfare tutti: utenti e aziende, tanto quelle cinesi, quanto quelle straniere.

È il concetto più forte emerso a a Wuzhen, nel Zhejiang, sudest cinese, dove si sta svolgendo la seconda Conferenza mondiale di Internet. All’incontro partecipano più di 2.000 delegati provenienti da oltre 120 paesi. I partecipanti più «pesanti» sono i primi ministri di Russia, Pakistan, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan, nonché alti funzionari delle Nazioni Unite, di Apple, Microsoft, Nokia, Lenovo, Alibaba, Baidu e Tencent. Il discorso inaugurale è stato effettuato da Xi Jinping e «twittato» dalla Xinhua. Un primo dato: l’agenzia ufficiale del governo cinese ha «trasmesso» il discorso del proprio leader, attraverso una delle piattaforme censurate in Cina. Il punto di partenza riserva subito un’apparente contraddizione: si celebra la Rete in un paese che è tra i suoi più grandi censori. Un paese, la Cina, capace di creare una sorta di Intranet nazionale, all’interno della quale operare con estrema libertà nei confronti di aziende e contenuti.

Un paese che da tempo sostiene un’idea molto precisa della Rete, sulla quale esercitare una sorta di sovranità, come se avesse dei confini proprio come uno spazio territoriale. Ci si potrebbe chiedere se non costituisca una contraddizione vedere i principali player mondiali presenti a questo incontro. In realtà, invece, in questo genere di conferenza si esprime una linearità totale, ed è quella del capitale. Internet in Cina, infatti, significa quasi 700milioni di persone collegate alla rete.

Un mercato vastissimo che è già il primo al mondo in termini di numeri, di business. Pechino vieta ai suoi cittadini di postare e pubblicare critiche al governo ma non pone limiti al commercio, all’acquisto, all’utilizzo della rete per sviluppare quelle energie liberatrici di cui il paese ha bisogno per passare da un’economia degli investimenti e basata sull’esportazione, ad un sistema fondato su innovazione, servizi, alta tecnologia, creatività. Niente male per players che altro non chiedono se non clic su tasti con scritto «acquista» e non certo una critica ai propri sistemi di marketing o ai sistemi politici che garantiscono il flusso di denaro. Xi Jinping nel suo discorso inaugurale ha esplicitamente affermato il concetto di cyber-sovranity, specificando che ogni paese ha il diritto di scegliere in modo indipendente come «procedere lungo il cammino dello sviluppo tecnologico, così come decidere le proprie regolamentazioni e politiche e nessun paese dovrebbe perseguire l’egemonia informatica, interferire negli affari di un altro paese o sostenere attività che minano la sicurezza nazionale di altri paesi».

Messaggio esplicito agli Stati uniti, in primo luogo, e agli alleati in questa lotta che ancora deve entrare nel vivo (India e Russia, in particolare, ma anche Giappone e Brasile). Interessante poi l’accenno di Xi alle «regole», perché sarà questo il leit motiv dell’impostazione cinese negli anni a venire: è necessario che il cyber spazio abbia un «ordine» che tuteli «gli interessi e i diritti legittimi di tutti gli utenti». In questo passaggio la Cina finisce per muoversi con la consueta astuzia, ben sapendo che quanto Pechino chiama «interessi legittimi», non indica quelli comunemente intesi in Occidente.

Noi pensiamo alla libertà di espressione, la Cina pensa alla libertà di fare affari, di muovere denaro, di svilupparsi e – perché no – di allargare all’estero la propria influenza commerciale. Con un punto fermo: non si entra in questioni di altri paesi, non ci sarà mai «ingerenza» cinese negli «affari», anche quelli riguardanti internet, di un altro paese.

La stampa cinese ha sottolineato il concetto: «Esistono – ha scritto il Global Times – diversi pareri su come Internet dovrebbe essere gestito. La Cina crede che la sovranità di Internet debba essere rispettata e il cyberspazio essere multilaterale. Coloro che hanno fatto i soldi in Cina, ma vogliono irritare i cinesi, non sono i benvenuti».