«Tu che continui a dirmi che verrà domani
e non capisci che per me il domani è già passato».

Alda Merini, Non avessi sperato in te

L’amara invocazione di uno dei versi più belli di Alda Merini si potrebbe girare a Matteo Renzi ed Enrico Letta, che nelle rispettive agende hanno -almeno finora- rimosso il capitolo storicamente doloroso del conflitto di interessi. Nonché quelli connessi di una moderna regolazione del sistema dei media, e di urgenti nuovi criteri di nomina del vertice della Rai o dell’autorità di garanzia nelle comunicazioni. Soggiogata alla centralità della vecchia televisione generalista (dominata da Berlusconi e ancor più dal berlusconismo), l’Italia ha perso almeno vent’anni e ora naviga nella bassa classifica della stagione digitale. E se lo sviluppo procede a velocità impressionante, come si è visto al «Consumer electronics show» tenutosi recentemente a Las Vegas, il bel paese è scivolato nelle retrovie.
Se non si rompe il bubbone del blocco di potere che ha frenato ogni evoluzione, tutto il resto appare sfuocato.
Può definirsi un serio progetto di riforma elettorale senza mettere mano al conflitto di interessi o al sostegno privilegiato? Il tema è attualissimo, anche se l’ex cavaliere non è candidabile. Ma l’impero televisivo vive e lotta insieme a lui e forse sta pure pensando a partecipare alla conquista delle spoglie di Telecom attraverso l’intesa con Telefonica nel mercato spagnolo delle pay-tv. L’avvento del «Mattarellum» fu accompagnato dalla legge 515 del 1993, che introdusse qualche norma sulla comunicazione politica. Ora, a maggior ragione, almeno uno straccio di legislazione di garanzia servirebbe a tutelare la «transizione» italiana. Attenzione. Mentre si discute di rimpasti ed è in corso una partita tattica su quando si andrà al voto, la campagna elettorale è permanente e la televisione continua ad avere un peso significativo.

Tuttavia, simili considerazioni, persino ovvie, non hanno ormai cittadinanza nel dibattito pubblico e spariscono persino dagli elenchi edulcorati degli impegni da assumere.
Inquietante rimozione, che rimanda all’antica maledizione della tv, il cui ruolo nella formazione delle culture di massa non è mai stato compreso da molta parte del ceto politico: riducendosi ad oggetto di scambio o di trattativa. Il cuore e il cemento dell’ideologia delle «larghe intese».

Conflitto e conflitti di interesse sono ostacoli per lo sviluppo della rete e strumenti perversi che favoriscono la lesione dell’edificio democratico. La data del 27 di questo mese per la definizione del testo sulla riforma elettorale passerà senza neppure rimettere in calendario la questione mediatica? È un tabù o un non-detto la cui mera evocazione fa prendere la scossa? Già.
Siamo nel vivo di una di quelle vicende che appartengono ai misteri italiani. Diversi anni or sono, attorno al 2000 ,quando governava il centrosinistra, i gruppi dirigenti decisero che fosse da anteporre la riforma del Titolo quinto della Costituzione – il federalismo- al conflitto di interessi. Di quella colpa ancora si pagano gli effetti, diretti e collaterali. Come è noto, la storia che si ripete oscilla tra la tragedia e la farsa. E la riforma elettorale rischia di essere, come nel film della comicità demenziale di Zucker, una «pallottola spuntata».