In meno di un’ora la Corte d’Appello di Milano ha ricalcolato la pena accessoria a carico di Silvio Berlusconi: due anni di interdizione dai pubblici uffici, meno della metà dei cinque anni stabiliti dalla sentenza annullata dalla Cassazione il primo agosto scorso.

Non è un risultato che possa anche minimamente soddisfare l’imputato. Se lo “sconto” fosse arrivato a un solo anno di interdizione, come chiedevano gli avvocati dell’ex presidente del consiglio, Berlusconi avrebbe potuto tirare un mezzo sospiro di sollievo. Le sue chances di poter fare campagna elettorale in prima persona alle prossime elezioni politiche e forse persino tentare l’azzardo di una spericolata candidatura sarebbero diventate elevatissime. Con un futuro del governo che solo i molto ottimisti immaginano oltre la prima metà del 2015, i due anni lasciano sostanzialmente immutata la situazione.

La sentenza è arrivata in anticipo sul voto della Giunta per le immunità del Senato, come negli auspici del presidente Giorgio Napolitano. La speranza del Colle è che la defenestrazione del reprobo appaia come opera della magistratura, effetto automatico e inevitabile di una sentenza, più che come scelta del Senato, votata da partiti che di Berlusconi sono pur sempre alleati. Sulla questione è intervenuto ieri, indirettamente, il vicepresidente del Csm Michele Vietti, che ha difeso a spada tratta le toghe e ha accusato la politica di «delegare alla magistratura la soluzione dei problemi politici. Ancora una volta la magistratura è arrivata prima». Parole che certo non potevano piacere a nessuno nel Pdl.

Anticipare la decapitazione per mannaia togata invece che politica è però un risultato difficile da conseguire. Niccolò Ghedini ha già annunciato il ricorso in Cassazione, e solo dopo quest’ultimo passaggio la sentenza sarà davvero definitiva. La rapidità con cui la Corte d’Appello ha portato ieri a termine il riconteggio dimostra che l’ultimo tratto non sarà lungo, anzi. Ma gli ermellini dovrebbero percorrerlo al galoppo per arrivare prima del voto in senato, che non dovrebbe andare oltre la prima settimana di dicembre. Improbabile, invece, che la Cassazione arrivi prima del gennaio-febbraio 2014.
Così, a parte la corale levata di scudi d’ordinanza da parte di tutto il Pdl, la sentenza di ieri modifica di poco e niente la situazione. Diverso, ma solo per l’impatto politico, sarà il caso del voto nell’aula di palazzo Madama.

Le incognite non sono molte neppure lì. Il 29 ottobre verrà sciolta la riserva sul voto palese o segreto, ed è molto improbabile che il presidente Piero Grasso violi la prassi consolidata e non conceda lo scrutinio segreto. Il fragore che per mesi ha circondato la vicenda rende però poco credibile la presenza della quantità di franchi tiratori (piddini o grillini) necessari per ribaltare un verdetto che sulla carta non potrebbe essere più scontato e lo è ancora di più dopo la sentenza di ieri.

La sola “sorpresa” (ma si fa per dire) sarà il pronunciamento contro la decadenza della pattuglia in formazione dei “popolari”, gli ex montiani di Casini e Mario Mauro, che non ha caso ha segnalato ieri di non aver ancora deciso come voterà.

Il grande sponsor dell’operazione nel Pdl, Angelino Alfano, ha esternato ieri solidarietà più che massima con l’interdetto, ed è tornato a definirlo leader unico e insostituibile, nonché, interdizione o non interdizione, «forte e determinato come sempre». Tutti con lui, «impegnati nella costruzione di un centrodestra moderno e competitivo», e non sarà certo una sentenza «a privare un leader del suo popolo e quel popolo del suo leader».

Il leader, per la verità, del progetto di centrodestra partorito da Alfano si fida pochissimo. Subodora il tentativo di rimpiazzarlo con le buone ma inesorabilmente. Fosse per lui preferirebbe ancora rovesciare il tavolo, ma sa bene quanto pesi l’istinto di sopravvivenza parlamentare nei senatori che già una volta l’hanno piantato in asso. Così, la sola carta su cui punta davvero, è oggi non nel Pdl ma nel Pd. Con Matteo Renzi segretario e la sinistra imbufalita col governo, non dovrebbe essere impossibile chiudere Enrico Letta e anche il caro Angelino in una micidiale tenaglia. E stritolarli.