Una settimana dopo il voto del senato che ha deciso di non applicare la legge Severino al caso del senatore Minzolini, conservandolo nella carica, si fanno sentire sia il Consiglio superiore della magistratura che l’Associazione nazionale magistrati. Criticando non tanto la decisione dell’aula parlamentare, quanto gli argomenti usati da alcuni senatori e dallo stesso Minzolini nel dibattito. Intanto però alcuni senatori si muovono perché il collega di Forza Italia possa essere ugualmente fatto decadere, in virtù del fatto che la sua condanna a due anni e mezzo di carcere (per peculato ai danni della Rai) è stata accompagnata dalla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, della stessa durata.

Sarà difficile aggirare il dettato costituzionale, anche in questo caso il senato dovrà esprimersi con un voto. E nel frattempo, dal giorno della condanna definitiva a oggi, più della metà dell’interdizione è trascorsa. La prima conseguenza dell’interdizione consiste nella cancellazione del condannato dalle liste elettorali: il diritto all’elettorato attivo comprende anche quello all’elettorato passivo. Risulta però, l’ha verificato l’avvocato Felice Besostri, che Minzolini sia ancora iscritto nelle liste elettorali del comune di Roma, dove risiede. Che evidentemente dal 12 novembre 2015 – giorno della condanna in Cassazione – a oggi non sono state ancora aggiornate, o non aggiornate bene. Un’inerzia che ricade sotto la responsabilità della sindaca Raggi, proprio quando i 5 Stelle si accaniscono contro il voto del senato e i responsabili del «salvataggio» del senatore forzista. La cancellazione dalle liste risultò decisiva nel caso di Cesare Previti, che fu dichiarato decaduto dalla camera nel 2006. Allora però passarono solo due mesi tra la condanna definitiva e la cancellazione dalle liste (sempre a Roma). L’avvocato Besostri scriverà alla sindaca Raggi per sollevare il problema.
Nel frattempo, ieri, l’Anm ha definito «inaccettabili» e «un grave attacco alla credibilità della giurisdizione agli occhi dei cittadini» i toni del dibattito in senato sul caso Minzolini. «In particolare alcune dichiarazioni che hanno insinuato la parzialità di un componente di uno dei collegi giudicanti sulla base di una presunta ostilità politica». Il riferimento è al giudice Sinisi, ex politico di primo piano del centrosinistra, che ha fatto parte del collegio di appello che ha condannato il senatore forzista. L’Associazione guidata da Pierluigi Davigo ha scritto poi di essere «sbigottita» dal fatto che Minzolini (non nominato nella nota) abbia paragonato la situazione della giustizia in Italia «alla tragica situazione turca (e anche a quella egiziana, ndr)» facendo un parallelo che «offende i magistrati italiani e svilisce la gravità delle vicende turche».

Si è occupato della vicenda anche il plenum del Csm per iniziativa del magistrato di Area Piergiorgio Morosini, secondo il quale «lo stato di diritto non può permettersi che sentenze definitive vengano bollate come il frutto di fumus persecutionis al termine di tre gradi di giudizio e quando le parti processuali dispongono di vari rimedi a garanzia dell’imparzialità dei giudici». Anche un altro magistrato di Area, Valerio Fracassi, ha detto che «il fumus persecutionis è incomprensibile considerato che in sede processuale nessuno ha sollevato problemi di presunta incompatibilità». Mentre i consiglieri laici indicati da Forza Italia Zanettin e Leone hanno difeso le prerogative del senato e di quei senatori «che hanno ritenuto in assoluta buona fede di respingere una applicazione automatica della legge Severino». Il vice presidente Giovanni Legnini ha ricordato che dall’ottobre 2015 il Csm ha avanzato proposte al parlamento per una più stringente normativa sui magistrati in politica: «Mi auguro che adesso che il parlamento è tornato a discuterne consideri con attenzione le nostre proposte».