Allertati da Repubblica, che ha pubblicato in anteprima il contenuto della bozza di decreto legislativo sulle intercettazioni, i deputati M5S ieri hanno gridato al «colpo di spugna per salvare Tiziano Renzi, Lotti e il cerchio magico coinvolto nell’inchiesta Consip». Inchiesta che, naturalmente, se andrà avanti sarà sulla base delle prove che i magistrati hanno già raccolto nel rispetto delle regole. Il decreto che il ministro della giustizia Orlando deve predisporre sulla base delle legge delega di riforma del processo penale (approvata a giugno ed entrata in vigore il 3 agosto) riguarda invece le modalità di utilizzo e pubblicazioni delle future intercettazioni. E somiglia a una rivoluzione.

«Non c’è ancora niente di definitivo né ufficiale», è costretto a precisare il ministero dopo la diffusione del testo del decreto. Che, assicurano, «terrà conto del confronto prezioso e del contributo significativo di esponenti della giurisdizione, dell’avvocatura, della stampa e del mondo accademico» che in effetti il ministro si era impegnato ad ascoltare e che ha convocato per lunedì e martedì prossimi. Non sarà però quell’ampio confronto con direttori ed editori che Orlando si era impegnato a tenere, per venire incontro a chi vede i rischi di un bavaglio alla stampa. Al loro posto l’invito è stato rivolto al sindacato nazionale dei giornalisti, la federazione della stampa, che però ha declinato: «Il governo pensa di limitarsi a chiederci un parere su un testo già definito, noi non andremo a un’audizione di mezz’ora» ha detto ieri il segretario della Fnsi Lorusso. Il ministro mette avanti ragioni di tempo: la delega sulle intercettazioni va esercitata entro tre mesi. Ma la procedura, tenendo conto dei tempi delle commissioni parlamentari per esprimere i pareri e di possibili proroghe, può durare oltre cinque mesi e dunque potrebbe avvicinarsi pericolosamente allo scioglimento delle camere.

Orlando non vuole correre rischi. Anche per questo ha chiamato al ministero i capi delle principali procure d’Italia, e ci saranno Lo Voi (Palermo), Pignatone (Roma), Spataro (Torino), Melillo (Napoli, ma fino a poco fa capo di gabinetto proprio in via Arenula). Ci saranno anche le camere penali. La principale novità prevista nella bozza di decreto è che nella richiesta di misure cautelari che il pubblico ministero presenta al giudice e nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari, fonti tradizionali per i giornalisti, «è fatto divieto di riproduzione integrale delle comunicazioni e conversazioni intercettate ed è consentito soltanto il richiamo al loro contenuto». Non solo, la bozza di decreto legislativo contiene anche nuovi limiti alla trascrizione delle intercettazioni considerate «non rilevanti ai fini dell’indagine», a meno che il pm non lo disponga ugualmente con un decreto motivato e per particolari esigenze di prova. Tutte le intercettazioni continuano però a dover essere depositate presso la segreteria del pm e dunque comunicate ai difensori, sarà poi un’udienza stralcio con pm e giudice a decidere quali intercettazioni trasferire al dibattimento e quali cancellare. Tutto il materiale sarà conservato sotto la responsabilità del pm in un archivio ad accessi registrati. Contro questa disciplina i 5 Stelle agitano l’eccesso di delega, eppure la delega prevedeva espressamente «prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni».

Altra novità, anticipata dalla delega, è la previsione del carcere – fino a quattro anni – per chi registra in maniera fraudolenta conversazioni private al fine di recare danno all’intercettato, fatto salvo però il diritto di cronaca. Rispetta la delega anche il freno ai virus informatici tipo Trojan, che non potranno più intercettare senza limiti di orario e che non potranno essere usati al di fuori delle indagini per mafia e terrorismo. Dunque non più per corruzione (da qui l’allarme per l’inchiesta Consip, ingiustificato perché il favor rei si applica alle norme sostanziali), mentre non sono previsti nuovi limiti alle intercettazioni negli ambienti cosiddetti di «privata dimora»