Per invecchiare bene, dice in una recente intervista, bisogna «mantenere in sé la curiosità dell’infanzia, le aspirazioni dell’adolescenza, le responsabilità dell’adulto, e nell’invecchiare cercare di trarre l’esperienza delle età precedenti. E sempre dobbiamo saperci stupire e interrogare su ciò che sembra normale ed evidente, per disintossicare la nostra mente e sviluppare uno spirito critico». In questa frase si condensano la personalità, l’opera e lo stile di vita di Solomon Edgar David Nahoum, dalla Resistenza in poi conosciuto come Edgar Morin, il suo nome partigiano.

Dal cruciale 1945 a questo 2021, in cui compie cent’anni, non ha mai smesso di frequentare e costruire libri, nelle cui pagine non si è mai appartato dalla vita per cercare le verità del sapere, ma nel sapere dei quali si è sempre immerso per trovare i valori della vita, della civiltà e dell’uomo. Esplorazione della conoscenza multidisciplinare, scientifica e umanistica insieme, e progetto antropologico per un’azione di civiltà nella storia comune sono infatti le matrici di quel pensiero della complessità che costituisce l’eredità antropologica, cognitiva e politica che questo grande umanologo, come egli stesso si definisce, ci ha saputo consegnare durante l’intero secolo della sua esistenza.

DELLA STRAORDINARIA articolazione, varietà e profondità della sua ininterrotta elaborazione dà oggi conto il volume Cento Edgar Morin, edito da Mimesis e curato da Mauro Ceruti (il più intimo dei suoi amici e suo allievo ed erede riconosciuto), nel quale cento firme italiane, delle più diverse appartenenze culturali, esplicitano il debito di formazione cognitiva, di educazione sentimentale e di sensibilizzazione politica che hanno intrattenuto e intrattengono con lui e con il suo pensiero. Un riconoscimento e un omaggio doverosi a un Maestro che dell’intreccio inestricabile fra intelligenza e passione ha saputo fare la cifra fruttuosa della sua vita e della sua opera. Un libro che è il portato e la testimonianza dello sviluppo, della ricchezza e della estensione conseguiti da quello straordinario percorso laboratoriale denominato La sfida della complessità che Ceruti, con la continua e dialogica collaborazione di Morin, ha avviato e diretto dai primi anni Ottanta in Italia e che si è declinato per quarant’anni in simposi scientifici internazionali, in incontri, riviste multidisciplinari e conferenze, in progetti e collane editoriali, in insegnamenti, corsi e seminari universitari, in singolari esperienze artistiche e musicali, in proposte didattico-formative nelle scuole e in una miriade capillare di altre iniziative che hanno caratterizzato la migliore cultura italiana di questi decenni e la sua interrelazione a livello planetario.

IN UNA SINTESI epistemologica vertiginosa, ma coerente con una possibile, per quanto forzata, suddivisione dell’opera di Edgar, il paradigma della complessità elaborato da questo grande filosofo, si può ascrivere a tre diversi, ma intrecciati, filoni di pensiero, che egli stesso ha voluto delineare. Anzitutto, la riforma del pensiero organizzata e proposta nel lavoro più che trentennale raccolto nei libri del Metodo (da La natura della natura a La vita della vita, a La conoscenza della conoscenza e fino a L’identità umana e a Etica), nei quali si contestano i paradigmi lineari, ripetitivi e riduttivi della tecnoscienza e degli specialismi scientifici, basati sulla separazione dell’uomo dalla natura, dell’osservatore dall’osservato, della conoscenza dalla società; mentre la complessità ecologica lavora sulla complementarità di uomo e natura, sull’ibridazione e l’interrelazione fra scienza, conoscenza e tecnologia, sulle relazioni e le contaminazioni fra i saperi e fra questi e le emozioni, l’immaginazione e la psicologia.

Poi, l’ambito della riforma dell’educazione che propone un radicale ripensamento della formazione scolastica e universitaria (I sette saperi necessari all’educazione del futuro; La testa ben fatta; Educare gli educatori. Una riforma del pensiero per la democrazia cognitiva; Amore, poesia, saggezza) ancora basate sulla compartimentazione e l’incomunicabilità fra le discipline, che rendono il cittadino inadeguato a comprendere e ad affrontare i problemi posti dalla globalizzazione e dall’interdipendenza planetaria fra le economie, le politiche, le religioni, le conoscenze, le antropologie, i problemi ecologici, sociali, sanitari. Infine, la riforma della politica che possa portare al superamento della logica della guerra, della competizione e della concorrenza, che pervadono ogni forma dell’organizzazione della vita sociale e vi liberano antagonismi e conflitti ingovernabili e ricorrenti, e alla progettazione di forme di civiltà fondate sulla collaborazione, l’integrazione e la solidarietà, che promuovano una diversa antropologia della politica, una visione ecologica del rapporto umanità-pianeta e, insomma, un nuovo umanesimo della fraternità (Maggio ’68. La breccia; Per uscire dal XX secolo; Pensare l’Europa; Terra-patria; Turbare il futuro; La via. Per l’avvenire dell’umanità; La nostra Europa, Cambiamo strada).

C’È INFINE UN’OPERA di Morin, Il paradigma perduto. Che cos’è la natura umana, che è citato da moltissimi dei cento collaboratori del volume celebrativo di Mimesis come il libro matriciale, il condensato paradigmatico e cognitivo di tutti gli altri libri di Edgar Morin, quello che li ha colpiti e sedotti per primo e di più. In esso si ritrovano infatti le due caratteristiche fondamentali della sua personalità e del suo pensiero. La prima, il sapere che egli esprime in ogni sua pagina è parte della sua biografia personale, è cioè generato e resta intriso da un’esperienza di vita e pensiero interconnessi, dalla continua ricerca di senso da dare all’una e all’altro e, insieme, al loro inestricabile intreccio co-generativo: quasi egli voglia dar conto lealmente al lettore della propria complessa antropologia individuale, degli alimenti di varia natura, emotiva o riflessiva, dai quali il suo cervello ha attinto il pensiero che viene esponendo. La seconda, la sua capacità di porsi di fronte alle cose della vita e del pensiero come un individuo qualsiasi della specie sapiens che sappia però di essere un momentaneo punto temporale e spaziale d’intersezione, di condensazione e successiva diramazione dei processi di una complessa rete evolutiva non solo antropologica, storica, sociale e politica dell’umanità, ma anche fisica, chimica, biologica ed ecologica dell’universo intero: una piega della mente di chi avverta di essere in ogni momento al crocevia unico e irripetibile di un immane sviluppo cosmico della vita, del quale il proprio pensiero, linguaggio e agire, non possa che sentirsi profondamente responsabile. Verso di sé, verso l’umanità, verso il pianeta. Proprio come un grande poeta.

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Scheda. «L’uomo e la morte» e «La mia sinistra»

Per celebrare il centenario di Edgar Morin, due volumi appena pubblicati per le edizioni Il margine ormai fuori commercio da tempo. Si tratta di «La mia sinistra. Rigenerare la speranza» (pp. 347, euro 18,50, presentazione di Riccardo Emilio Chesta) e «L’uomo e la morte» (pp. 467, euro 21, presentazione di Francesco Bellusci). Entrambi i libri, usciti originariamente qualche anno fa per Erickson, hanno adesso una nuova traduzione e curatela grazie a Riccardo Mazzeo che ha potuto rilavorare su due punti importanti del pensiero di Morin. «Ma gauche» è stato edito nel 2010 da Francoise Bourin Editeur, mentre «L’homme et la mort», del 1970, uscì per l’Editions du Seuil.