«Credo che ciò che stanno facendo ora artisti e intellettuali sia senza precedenti e non abbia alcun esempio simile nella storia» si legge in un passaggio della lettera aperta in cui Arundhati Roy annunciava l’adesione a un movimento di dissenso animato da decine di intellettuali indiani, uniti nella lotta per la salvaguardia della libertà d’espressione e dei diritti civili nel paese.

Un fenomeno effettivamente inedito nella storia recente dell’India, in risposta alla crescita esponenziale di violenza e intolleranza di stampo estremista hindu che negli ultimi mesi ha interessato svariati aspetti della – presunta- serena convivenza multireligiosa e multiculturale nel subcontinente. Nell’agosto scorso lo scrittore «razionalista» M.M. Kalburgi – 78 anni e tra gli intellettuali del Karnataka schierati contro l’estremismo hindu – è stato vittima di un’esecuzione in piena regola nei pressi della sua abitazione, nella città di Dharwad: pallottola sparata a bruciapelo da «ignoti», probabilmente vicini ai gruppi della destra hindu. A fine settembre, a pochi chilometri da New Delhi, è stata la volta di Mohammad Akhlaq, linciato da una folla istigata dal tempio hindu del villaggio di Dadri che aveva accusato Akhlaq di macellare e consumare carne di mucca: attività legale, in Uttar Pradesh, ma che – come si dice – avrebbe offeso la sensibilità dei fedeli hindu.

Col corpo di Mohammad senza vita e il figlio in prognosi riservata, qualche giorno dopo si è scoperto che la carne di casa Akhlaq non era di mucca, ma di montone.
Esponenti del Bjp, di fronte all’indignazione della stampa, hanno descritto l’omicidio di Akhlaq come uno «sfortunato incidente», negli stessi giorni in cui uomini del Shiv Sena (movimento politico dell’ultradestra hindu) minacciavano disordini in Maharashtra contro i concerti del maestro del «ghazal» Ghulam Ali (pakistano, che ha cancellato tutte le date e non suonerà più in India finché «la situazione non migliorerà») e lanciavano inchiostro contro Sudheendra Kulkarni, politico dello stesso Bjp, reo di aver organizzato la presentazione di un libro redatto dall’ex ministro degli pakistano Khurshid Mahmud Kasuri.

La prima settimana di ottobre un gruppo di scrittori ha deciso di riconsegnare in massa i premi letterari assegnati in passato dalla Sahitya Akademi, la massima istituzione letteraria del paese, denunciando il clima di intolleranza crescente nel paese e l’inazione di un governo che preferisce minimizzare all’esporsi per la tutela della libertà d’espressione. A macchia d’olio, la protesta si è allargata coinvolgendo registi, matematici, storici, sociologi, artisti, tutti uniti contro lo spostamento a destra (hindu) dell’assetto democratico del paese, mentre la violenza e le minacce proseguivano incessanti: raid in un ristorante di Delhi accusato di servire carne di mucca (era di manzo), due bambini dalit (gli «intoccabili» del sistema castale hindu) arsi vivi in un incendio doloso a Faridabad, alle porte di Delhi.

In altre faccende affaccendato (elezioni locali nello stato del Bihar e una campagna infinita di promozione dell’India come nuova fabbrica del mondo), Narendra Modi si è detto «dispiaciuto», accusando però le opposizioni politiche di strumentalizzazioni per attaccare il buon operato del governo.

Modi, fedele alla linea che impone la crescita economica come panacea di tutti i mali, insiste nel magnificare i progressi raggiunti: crescita prevista al 7,5 per cento, inflazione in ribasso, investimenti esteri che arriveranno. Intanto, nel paese, si continua a morire ammazzati di lesa maestà hindu.