È una Turchia alla ossessionante ricerca di nemici interni quella fotografata da Amnesty International, che ieri ha chiesto «la fine della farsa giudiziaria» contro undici difensori dei diritti umani, tra cui Taner Kılıç, presidente onorario della stessa organizzazione nel paese, e Idil Eser, ex direttrice della sezione turca di Amnesty.

I due, insieme ad altri nove difensori dei diritti umani, sono accusati di «appartenere a un’organizzazione terroristica». Taner Kılıç, fermato perché avrebbe scaricato sul proprio cellulare ByLock, un’app di messaggistica, ha trascorso più di 14 mesi in carcere prima di essere rilasciato su cauzione, nell’agosto 2018. Otto dei «10 di Istanbul» sono stati quasi quattro mesi in cella prima di essere rilasciati, sempre su cauzione, nell’ottobre 2017. «Nel corso di otto udienze, le prove presentate dalla procura contro di loro si sono rivelate completamente infondate, ma la minaccia di una condanna pende senza motivo sul capo degli imputati e suona come un avvertimento per chiunque voglia difendere i diritti umani », ha fatto sapere Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International.

Ma l’attacco a ogni dissenso e alla libera informazione si è fatto se possibile più intenso negli ultimi giorni. A finire nel mirino delle autorità turche solo nel mese di settembre, 24 giornalisti, di cui tre condannati a 17 anni e due mesi. Nelle province a maggioranza curda di Amed, Mardin, Van, Urfa e Siirt, ai giornalisti è regolarmente impedito di svolgere il proprio lavoro all’interno dei palazzi pubblici. Lo riferisce il Free Journalists Initiative in un rapporto. Al momento, secondo i dati forniti dal report, sono circa 145 i giornalisti detenuti.

Ad attirare l’attenzione di Ankara non sono solo giornalisti e attivisti per diritti umani. Lo scorso venerdì la polizia turca ha arrestato otto musicisti provenienti da due band diverse specializzate in feste nuziali. L’accusa mossa contro di loro – ha riportato l’agenzia di stampa Mezopotamya – è di propaganda terroristica per il solo fatto di aver cantato canzoni in curdo.