Non si è fatta attendere la risposta delle opposizioni egiziane all’ultima ondata repressiva che qualche giorno fa durante le festività dell’Eid ha portato all’arresto di sette noti attivisti. Tra questi l’ex ambasciatore Masoum Marzouk, l’economista Raed Salama e il professore universitario Yehia al Qazzaz.

Il Movimento civile democratico (un blocco di otto partiti laici nato nel dicembre scorso contro la farsa delle elezioni presidenziali) si è riunito lunedì in una conferenza pubblica per chiedere la scarcerazione immediata dei sette e di tutti gli altri «prigionieri di coscienza» nelle carceri egiziane.

«Andremo avanti con mezzi pacifici e democratici, senza paura – ha detto Ilham Eidarous, del partito di sinistra Pane e Libertà – Non permetteremo loro di fare dell’Egitto un’altra Corea del Nord. Il regime sembra ormai un disco rotto. Continua a usare l’accusa di terrorismo contro chiunque, non è più credibile».

«Questo regime si è presentato dicendo di voler combattere il fondamentalismo religioso – ha commentato ironicamente la giovane militante – ma l’unica uguaglianza che è riuscito a realizzare è quella nelle carceri, arrestando uomini e donne, cristiani e musulmani, senza distinzione».

Parole dure anche da parte del nasserista di sinistra Hamdin Sabahy, che nel 2013 fu tra i sostenitori del colpo di Stato militare di al-Sisi e della repressione contro i Fratelli Musulmani: «Chi sta con il popolo egiziano e con lo Stato deve schierarsi contro questo regime», ha tuonato il carismatico leader del movimento Corrente Popolare, che alle presidenziali del 2012 si era piazzato terzo con oltre il 20% dei voti. «Ha violato e offeso la costituzione. È un potere corrotto e tirannico, che ha affamato gli egiziani. È dovere di ciascuno lottare per un cambiamento».

Il documento finale della conferenza definisce «campagna di terrore» l’ultima retata e la considera parte di una «strategia sistematica» mirata a zittire le voci di dissenso per nascondere i fallimenti economici e sociali del regime, gridando continuamente a oscuri complotti contro il paese.

Ed è intervenuto anche il movimento dei Socialisti Rivoluzionari, che nel suo comunicato fa appello all’unità di tutte le forze di opposizione, «unite durante la rivoluzione e poi divise dalla controrivoluzione», che ha visto un pezzo sostanzioso di partiti e società civile schierarsi in favore dei militari. Il movimento rilancia l’accusa secondo cui dietro gli arresti ci sarebbe l’intenzione di al-Sisi di modificare la costituzione per farsi incoronare «dittatore a vita», oltre la scadenza del secondo mandato.

Intanto destano preoccupazione le condizioni degli arrestati. Gli avvocati che li hanno incontrati denunciano che alcuni di loro sono rinchiusi in isolamento, senza bagno e senza la possibilità di leggere e fare attività fisica. Nei lunghi interrogatori hanno dovuto rispondere a domande sul proprio passato politico e sulla rivoluzione del 2011.

Martedì è poi arrivato l’ennesimo rinnovo della custodia cautelare per Amal Fathy, attivista e moglie di Mohamed Lofty, direttore della Commissione egiziana per i Diritti e le Libertà, che collabora con la famiglia Regeni. Amal, in carcere da maggio, ha subito ripetutamente minacce di ritorsioni se non rivelerà informazioni sulle attività del marito e le sue condizioni fisiche e psicologiche continuano a peggiorare.

E ieri presso una corte amministrativa del Cairo si è tenuta l’udienza sull’appello presentato dalle attiviste del centro Al Nadeem contro le vittime di tortura. Chiuso nel febbraio 2017 su ordine del ministro della Sanità, il centro dalla sua fondazione nel 1993 ha aiutato oltre 6mila persone offrendo supporto legale e assistenza medica e psicologica. In vista dell’udienza lunedì 120 tra organizzazioni, partiti e personalità pubbliche hanno rilasciato l’appello «Riaprite Al Nadeem». Mentre scriviamo l’esito dell’udienza non è noto.

Eppure, anche sotto la pesante cappa di repressione, dall’Egitto non smettono di arrivare anche parole di resistenza. Di ritorno dalla procura della Sicurezza di Stato la 35enne avvocatessa militante Mahienour el Massry ha raccontato su Facebook di aver incontrato molti dei prigionieri arrestati nelle ultime settimane, vestiti con la tuta bianca carceraria di fronte al magistrato, «sotto accusa soltanto per aver sognato un futuro migliore». «Nonostante il dolore – ha scritto – ti dà forza e speranza sapere che, anche in prigione, la gente continuerà a sognare».