Il leghista Roberto Calderoli non può godere dell’ «insindacabilità» concessagli dal Senato nel 2013 per aver insultato in un comizio l’allora ministra Cecilia Kyenge (chiamandola «orango»). Lo ha deciso la Corte Costituzionale accogliendo il ricorso del Tribunale di Bergamo. Per la Corte «le opinioni espresse extra moenia (cioè fuori dallo specifico esercizio delle funzioni parlamentari, ndr) sono coperte da insindacabilità solo ove assumano una finalità divulgativa dell’attività parlamentare». E la prerogativa dell’insindacabilità «non può essere estesa sino a ricomprendere gli insulti». Il Senato aveva definito sindacabili le parole di Calderoli in rapporto al reato di diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicità ma insindacabili in rapporto all’aggravante della finalità di discriminazione razziale.