Sono sei le lettere di dimissioni sul tavolo del presidente del Senato Pietro Grasso. A depositarle, ieri, sono stati altrettanti senatori del M5S decisi a lasciare palazzo Madama dopo l’espulsione dei quattro colleghi dissidenti. «Per quanto mi riguarda restano lì, nelle mani di Grasso», assicura la senatrice Alessandra Bencini, una delle dimissionarie insieme ai colleghi Maria Mussini, Laura Bignami, Monica Casaletto, Maurizio Romani e Luis Alberto Orellana, quest’ultimo l’unico degli espulsi ad aver scelto di lasciare l’incarico. Gli altri tre ribelli, Francesco Campanella, Fabrizio Bocchino e Lorenzo Battista sembrano invece determinati a restare al loro posto, resta da vedere se passando al gruppo Misto oppure creando un proprio gruppo parlamentare. Molto dipende da cosa decideranno di fare i dimissionari, ma anche dai civatiani, che da giorni guardano con interesse ai travagli interni al movimento di Grillo che ormai sembra perdere pezzi ogni giorno. Ieri due deputati, Alessio Tacconi e Ivan Cattaneo, hanno annunciato di voler passare al gruppo misto, dove ci sono già altri ex del M5S.. «Zavorra che va via», è stato il commento degli ortodossi, ormai sempre più velenosi nei confronti di chi lascia.

Per il movimento di Grillo queste sono ore difficili. Se da una parte, infatti, l’uscita delle voci critiche rappresenta una buona notizia per chi non mette mai in discussione le decisioni della coppia Grillo-Casaleggio, dall’altra c’è anche la paura di un’emorragia che possa, se non svuotare, di sicuro ridurre di parecchio la rappresentanza del M5S al Senato. Per questo ieri per tutto il giorno i fedelissimi sono stati ben attenti a usare due strategie diverse e contrastanti: toni sempre più duri nei confronti di chi lascia, ma estremamente attenti nei confronti dei dimissionari, nella speranza di riuscire a ricucire lo strappo. Al punto che, durante l’ennesima riunione tenuta a palazzo Madama fino a tarda sera, prima è sembrata prevalere la scelta non solo di votare a favore delle dimissioni, ma anche di provare ad anticiparne la discussione in aula. Poi, più prudentemente, la linea dura ha lasciato il posto a un ulteriore tentativo di dialogo. Scelta che ha provocato la reazione dell’ex capogruppo Paola Taverna: «Siamo entrati qui dentro per fare la rivoluzione, non posso certo fermarmi per piangermi addosso mentre fuori il Paese brucia», ha detto uscendo dall’aula La senatrice Elisa Bulgarelli ha invece chiesto a tutti di compilare delle schede con i punti ritenuti più critici. Ne è uscito il solito elenco fatto di rapporti difficili con i deputati e con lo staff comunicazione, ma anche la necessità di rivedere le regole che governano le espulsioni. Anche perché per molti ormai si è superato ogni limite, come spiega il senatore Romani nella sua lettera di dimissioni a Grasso: «Definire dissidente e arrivare a espellere chi pensa con la propria testa e ha il coraggio delle proprie idee è una mossa suicida – ha scritto Romani -. A ciò si aggiunge la rabbia e la violenza che ho visto usare verso i nostri colleghi. Non voglio essere complice di questa specie di linciaggio».

Parole che, nell’assurda faida che divide il movimento, non sembrano aver sortito alcun effetto negli ortodossi. Che anche ieri hanno alzato ancora di più i toni. A colpire, soprattutto, è la disinvoltura con cui vengono fatti continui riferimenti alla guerra. Del resto mercoledì dal blog Grillo parlava di strade piene di sangue in vista delle elezioni europee, e i suoi non potevano essere da meno. Ecco quindi Roberta Lombardi andare giù duro: «Oramai è guerra totale. In questo clima da resa dei conti tra cittadini e casta, noi portavoce in parlamento dobbiamo poterci fidare gli uni degli altri», sentenzia l’ex capogruppo alla Camera. Alla quale fa eco il responsabile comunicazione del senato Claudio Messora: «Una guerra ha bisogno di una forte motivazione», ma anche «di regole che impediscano a ribelli e disertori di condizionarne l’esito». Mentre nove fedelissimi, tra i quali anche il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, hanno accusato i due deputati che ieri hanno annunciato l’intenzione di passare al gruppo misto, Tacconi e Catalano, accusandoli di farlo solo per soldi: «Finalmente, zavorra che via via», scrivono i nove. «Gente che non c’entra nulla con il M5S, persone che da questo momento diventeranno parassiti, perché se avessero un minimo di dignità dovrebbero dimettersi, non cambiare gruppo». Il dibattito, come sempre, vola alto.