Lo scambio è servito. Il giorno dopo il voto sul caso Diciotti che ha salvato Salvini ecco l’accordo per l’Inps. La Lega fa la buona e rinuncia alla presidenza in favore del candidato M5s Pasquale Tridico. Bloccato venerdì scorso, il tandem con Mauro Nori però rimane: l’uomo scelto dalla Lega non accetta di fare il vicepresidente ma – a meno di retromarce dell’ultimo istante – tornerà al ruolo di direttore generale che ricoprì ai tempi della Fornero, potendo vantare di aver reso pubblico il dato dei 360mila esodati che quella riforma produsse.

Come accadde al M5S venerdì scorso poi la decisione di Nori è figlia del realismo: la figura di vicepresidente, seppur con deleghe dettagliate, rischia di essere meno importante del direttore generale che ha competenze più tecniche ma molta più autonomia nel portarle avanti.

SARÀ IL CONSIGLIO dei ministri di oggi a varare il nome del commissario che diventerà presidente quando saranno nominati anche gli altri 4 componenti del ricreato consiglio d’amministrazione. Il ruolo di “vicepresidente” al momento non esiste e l’emendamento al decretone Reddito-Quota 100 che doveva prevederlo rischia di non vedere mai la luce. A farne le spese sarebbe l’attuale direttrice generale Gabriella Di Michele che – non a caso – ieri mattina partecipando ad un convegno della Cgil si era espressa a favore della novità. Lei, nominata dal governo Gentiloni nel 2017 e in teoria in scadenza del 2022, rischia di essere la vittima della spartizione Lega-M5S. L’accordo politico sancito ieri pomeriggio prevede due consiglieri in quota Lega e due in quota M5S, uno solo per l’opposizione: non è detto che il posto possa essere il suo.

La partita dunque non va ancora data per chiusa anche perché per la vicepresidenza in quota Lega spunta il nome di Francesco Verbaro (subcommissario), già segretario generale del ministero del Lavoro e poi consigliere giuridico dell’allora ministro Maurizio Sacconi. La nomina di Tridico non sarà comunque una passeggiata. Se l’emendamento della Lega che prevedeva l’incompatibilità tra la carica di presidente Inps con altre cariche – il professore di Roma Tre è consulente di Di Maio – è stato ritirato come conseguenza del semaforo verde leghista alla sua nomina, il Pd è subito andato all’attacco: «La legge prevede tra i requisiti del presidente “indiscussa indipendenza”. Come fa ad esserlo un collaboratore del ministro del Lavoro Di Maio?», dichiara Ubaldo Pagano.

IN REALTÀ IL VERO PUNTO di domanda su Tridico non è sull’autonomia – il professore rifiutò di far parte del governo criticando l’alleanza con la Lega – ma sulle conoscenze in fatto di previdenza. Il padre del cosiddetto “reddito di cittadinanza” ha un buon curriculum sulle politiche del lavoro, ben poche in fatto di pensioni. L’economista cosentino si è sempre definito «di sinistra» e di fatto si considera il padre anche del decreto Dignità, nella sua versione originaria, che puntava a ridare garanzie e tutele ai lavoratori, essendosi sempre schierato per il ripristino dell’articolo 18.

LA NUOVA MODA di “nominare professori” è stata al centro del convegno tenuto dalla Cgil ieri mattina. Le preoccupazioni per il carico di lavoro che i 25mila dipendenti – di cui 4mila in uscita – dell’Inps subiranno per gestire Quota 100 e Reddito di cittadinanza sono state il punto di partenza della relazione del segretario confederale Roberto Ghiselli che ha denunciato come sia «a rischio l’attività ordinaria». Nella chiusura del convegno il segretario generale della Cgil Maurizio Landini ha annunciato che «sarà il tema della rappresentanza, l’applicazione della misurazione per Cgil Cisl e Uil così come per Confindustria che presenteranno a stretto giro di posta sul tavolo della nuova presidenza Inps: non è solo il modello della rappresentanza in quanto tale ad essere importante ma il fatto democratico in sé.

Altrimenti se resta tutto come oggi siamo alla caricatura della democrazia», prosegue. Landini si è poi sfogato sul tema delle pensioni dei sindacalisti: «Mi sono rotto, noi non abbiamo nulla da nascondere e nulla da difendere: le regole per noi sindacalisti sono le stesse che per tutti i lavoratori. Se in passato ci sono casi personali (il riferimento è all’ex leader Cisl Raffaele Bonanni a cui la confederazione pagò contributi tali da assicurare una pensione da 8mila euro al mese, ndr) si perseguano quelli», ha chiuso Landini.