Il mondo delle colf è già molto bistrattato, e visto il basso grado di welfare e servizi che si ricevono a fronte di un contratto regolare (si pensi solo alla pensione, quasi un’utopia per le lavoratrici straniere), molte collaboratrici domestiche scelgono – spesso anche volontariamente – di restare in nero. Ma sembra che l’Inps voglia dare il colpo di grazia, perché in forza di una circolare del luglio scorso sta di fatto impedendo a centinaia di migliaia di collaboratrici familiari di accedere alla disoccupazione (oggi definita con il termine «Naspi»).

L’inghippo, denunciato dai sindacati – che hanno chiesto un incontro urgente alle commissioni Lavoro di Camera e Senato – risiede nella circolare interpretativa (ai decreti del Jobs Act) del 29 luglio di quest’anno, esattamente la numero 142. L’istituto guidato dall’economista Tito Boeri ha infatti ristretto i requisiti per ottenere la Naspi, ma solo per la categoria dei lavoratori domestici: se la norma generale dispone che si ha diritto alla Naspi con almeno 30 giornate di lavoro nei 12 mesi precedenti, la circolare interpretativa Inps specifica che invece per colf, badanti e baby sitter si deve intendere un periodo minimo di 5 settimane di almeno 24 ore lavorative ciascuna (lo dice al punto 5.1: «Perfezionamento del requisito delle 30 giornate di effettivo lavoro per i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari»).

L’interpretazione dell’Inps colpisce secondo il sindacato almeno un terzo dei lavoratori domestici regolari italiani, e in particolare quelli con meno ore di lavoro: se molte badanti hanno infatti contratti pari o anche superiori a 24 ore settimanali (ma molte non conviventi sono part time, quindi possono stare sotto), molto a rischio sono le baby sitter e le collaboratrici familiari. Si tratta di circa 310 mila persone sul totale delle 900 mila che lavorano nel settore, calcola la Filcams Cgil.

«Si apre una situazione di evidente iniquità, in cui una lavoratrice domestica part time, che magari lavora per 12 mesi continuativi con un contratto di 20 (o anche 23) ore settimanali non può accedere alla Naspi, mentre un’addettae di un altro settore, mettiamo ad esempio una commessa, con un identico contratto part time, anche con una anzianità inferiore, percepisce regolarmente il trattamento», spiega la segretaria Filcams Cgil Giuliana Mesina.

Secondo il sindacato, l’Inps potrebbe anche aver scritto la circolare quasi senza capire che sarebbe andata a colpire un settore già debole, tagliando con l’accetta una soglia sotto la quale la Naspi non si prende. «Non hanno sentito le parti sociali, ci sta che lo abbiano fatto addirittura senza rendersi conto delle conseguenze», ipotizzano alla Filcams Cgil.

Dietro, però, ci sono centinaia di migliaia di lavoratrici, spessissimo immigrate, che già peraltro pagano i contributi per pensioni che forse non vedranno mai (in diversi casi mancano gli accordi di reciprocità con i Paesi di origine). Lo si sia voluto o no, insomma, perché accanirsi proprio su di loro? E Boeri in particolare, attento in varie occasioni a categorie deboli come ad esempio gli over 55, si è reso conto del danno che l’Inps può arrecare a un esercito di persone quasi indifese? Ce lo chiediamo e glielo chiediamo.

All’incontro chiesto alle Commissioni Lavoro di Camera e Senato, Filcams, Fisascat e Uiltucs, chiederanno più in generale una riscrittura dei termini di accesso alla Naspi, anche per i lavoratori stagionali. La loro indennità di disoccupazione è infatti stata ridotta sensibilmente: «Se in passato un lavoratore del turismo o dell’industria alimentare, mettiamo ad esempio chi fa i panettoni o le uova di Pasqua, dopo 6 mesi di lavoro aveva diritto a sei mesi di indennità, adesso avrà diritto soltanto a 3 mesi – spiega Cristian Sesena, segretario Filcams Cgil – In un anno, diversi mesi rischiano di rimanere del tutto scoperti».

Dopo le proteste del sindacato, e ultimamente anche di un nutrito gruppo Facebook, «Lavoratori stagionali» (oltre 29 mila iscritti), per il 2015 il ministero del Lavoro ha deciso di congelare le nuove regole, che però entreranno in vigore nel 2016. I sindacati chiedono una modifica nella Legge di Stabilità o al più tardi nel cosiddetto «Milleproroghe».