Immaginiamo una ragazzina, bella, l’irrequietezza dei quindici anni di un’estate in città. Vacanza, sms, amori, amici. I ragazzini respinti con un semplice testo, le promesse mancate, gli innamoramenti che esplodono e, con altrettanta velocità si smorzano nella pigrizia di un pomeriggio. Rita, questo il suo nome, quando attraversa in shorts le strade cittadini sembra esserne la regina. Insieme all’amica del cuore è un flusso di chiacchiere, confidenze, progetti, fantasie coltivate sotto al sole sul balcone casalingo. Shopping, vestiti pazzi, camminare sui tacchi, le feste da cui si torna sbronze.

 

 

Le camerette sono un mondo proibito, i genitori remote presenze, quasi fantasmi, gli smartphone un’arma implacabile. Se il racconto dell’adolescenza è insieme un banco di prova ad alto rischio, e una dimostrazione di talento, allora possiamo dire che Joao Nicolau è un cineasta speciale, che conferma la vitalità del cinema portoghese a cominciare da quel passaggio di esperienze tra generazioni così poco praticato altrove (per esempio da noi). Nel suo film d’esordio, John From, una delle sorprese di questa fine anno, inventa un universo adolescente strabico e irruento, ma soprattutto libero dai riferimenti e dalle atmosfere che ne punteggiano l’immagine comune: facce imbronciate, rabbie periferiche, on the road, dati da statistiche mediatiche e quant’altro. Eppure le sue ragazze sono «verissime», o forse proprio per questo, come dice Manoel De Oliveira nel suo magnifico film lezione di cinema (più che testamento) Visita ou Memórias e Confissões «più forte è la messinscena più si rende la realtà» (e nel film di Nicolau troviamo Leonor Silveira, icona di De Oliveira).

 
Nicolau ha lavorato insieme a Miguel Gomes (produttore del film) con cui ha in comune, nel ruolo del padre di Rita, Adriano Luz che in Le mille e una notte, il film dell’anno, interpreta il sindacalista nel primo episodio – sarà nelle nostre sale grazie al MFN-Milano Film Network dal prossimo gennaio. E soprattutto l’intraprendenza di mescolare i piani narrativi, di rendere la «realtà« in una dimensione fantastica che qui prende forma nell’ossessione della giovane protagonista per il nuovo vicino di casa. Perché Rita, forse per noia o perché come in una vecchia canzone «non ha niente da fare» decide di innamorarsi del nuovo vicino, quarantenne, figlia-piccola-munito che della ragazzina nemmeno si accorge nonostante gli appostamenti e gli sforzi.

 

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Di colpo nulla esiste più, programmi, progetti, la vacanza con l’amica, il festival di musica, col «tutto o niente» che solo l’adolescenza conosce.
Lui, prima detto in codice Colonello, diventa «John From», seguendo la storia del primo soldato americano che arriva nelle terre di Melanesia scoperta dalla ragazzina in una mostra di cui il vicino ha curato l’allestimento.

 
John From era in concorso al festival Entrevue di Belfort (e anche al Tff di Torino, chissà se si troverà il modo per farlo circolare in Italia) che si è chiuso qualche giorno fa, e che con questa edizione festeggiava i trent’anni. Un appuntamento importante oltralpe per quel gusto cinefilo ma non sterile, attento cioè a quanto accade, a dare spazio a tendenze e movimenti del cinema, e al tempo stesso a conservarne attuale la storia, che la direzione di Lili Hinstin, raffinata esploratrice degli immaginari, sa miscelare con attenzione.

 
Per la festa di compleanno a diversi registi (tra questi Claire Simon, José Luis Guerin, John Gianvito, Miguel Gomes, Joao Pedro Rodrigues, Alex Ross Perry, Jean-Claude Rousseau) è stato chiesto di partecipare a un gioco. Titolo, Cadavre exquis, e come il gioco surrealista ogni cineasta doveva scegliere il suo film a partire dall’ultimo fotogramma (ricevuto per mail) del film precedente. Joao Nicolau ha scelto La marchesa von … di Eric Rohmer, anche se nel paesaggio sentimentale che circonda tutti i suoi personaggi si respirano molto le atmosfere stralunate di Kaurismaki, omaggiato in una sequenza del film.

 

 

Della marchesa (e di qualcune altre ragazze rohmeriane teneramente fragili) Rita, la splendida Julia Pelha – magnifica è anche Clara Riedl-Riedenstein nel ruolo dell’amic Sara – prende il potere dell’affabulazione con cui ricreare un mondo. Cosa ci dice dunque questa adolescente nella sua ostinatissima sfida amorosa? Che la realtà piatta, di fronte alla quale il padre si chiede: «È vita questa?», può prendere la forma delle sue fantasmagorie.

 

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Il quartiere diviene un quadro di Gauguin, e come in una visione il vicino appare circondato da ragazze bellissime, e da totem a forma di un Ipod. Levi Strauss surrealista più che Lolita, il personaggio di Rita distilla nella fantasia amorosa l’esotismo dell’altrove, tropicalismo contro ordine colonialista e lo sguardo oltreoceano dei portoghesi alle colonie lontane. Ma non è questo il luogo che inventa il mondo, e ne scova i lati segreti, doge tutto può essere, tutto è?

 

 

Eccoci dunque tra statue, palme finte, animali esotici, bradipi, pappagalli verdi, basilischi, mentre il vestito di Rita viene paragonato alla livrea di un cacatua, e al posto dei soldi si usano conchiglie. Lei dipinge sul corpo, come in una body performance di Malina e Beck i colori dei nativi, e John From, a cui è invisibile, lo osserva  come una specie di traditore, oggetto del desiderio e insieme conquistatore. In un innamoramento dell’altrove, e della sua bellezza, che appare come qualcosa di ancestrale e insieme di terribile. Un po’ come l’amore.