Il teatro, di questi tempi, non è mai una scelta casuale. È un impegno coraggioso per chi ospita, per chi produce, risponde anche nel pubblico al desiderio di essere di nuovo nutriti, persino affettivamente consolati da momenti di condivisione che danno forza.

Certi pezzi, i migliori, resteranno nella memoria, incancellabili. Uno di questi è Ink, creazione di Dimitris Papaioannou, artista greco a tutto tondo, regista, coreografo, pittore, disegnatore, scenografo, alle spalle tra i molti lavori la prima creazione esterna fatta per il Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch, Since She, cerimonie olimpiche come la prima per Atene nel 2004, titoli che regalano viaggi nel tempo come lo spettacolare The Great Tamer che ha girato il mondo.

«INK» è nato per l’Italia, coproduzione tra due festival, Aperto di Reggio Emilia, dove lo abbiamo visto e dove Papaioannou già firmò per la Fondazione Maramotti Sysyphus / Trans / Form, e Torinodanza che ospitò The Great Tamer. Una creazione, Ink, pensata inizialmente come un site-specific per il Teatro Valli di Reggio e il Carignano di Torino, poi diventata uno spettacolo vero e proprio, visione concreta quanto metaforica, 45 minuti di durata, sottofondo sonoro tra accenni di Vivaldi, lievi canzonette, rumori sordi in lontananza. Due repliche al giorno per due straordinari interpreti: lo stesso Papaioannou, classe 1964, e il danzatore 23enne Šuka Horn. Un racconto che si trasforma con densità pittorica.

Ink è l’inchiostro della scrittura, la traccia del disegno, il liquido nero del polpo battuto in scena, mollusco che ci traghetta in una Grecia antica quanto contemporanea, terra di antiche leggende consumate tra l’Olimpo e il mare. Storie di padri e di figli, da Zeus in poi, storie mosse dal desiderio, dal Tempo che passa e governa tutto, storie di generazioni che si susseguono, che si amano, che si distruggono.

La scena è un box nero e traslucido, dove oscillano altissime pareti di nylon. Battute dall’aria, battute dall’acqua che scorre e innaffia la scena con alti getti ora ricurvi, ora diretti. Papaioannou, vestito di nero come lo spazio che è la sua casa, governa il sistema di irrigazione con passo concreto, contadino che nutre la terra, pescatore che osserva il mare, in attesa del mondo sotto la superficie. Raccoglie l’acqua in una grande boccia trasparente, dove lavarsi, sciacquare indumenti, pulire il polpo. È tutto a vista, la lunga canna e il getto da dirigere nello spazio.

IL PAVIMENTO si sfalda, reso trasparente da rettangoli di plastica biancastra, sotto i quali la vita scorre. Mistero della nascita. Šuka Horn, corpo nudo, perfetto, giovane. Si muove, piatto, sotto la plastica, creatura del mare. L’uomo più vecchio, che attende, lo scopre. È una battaglia tesa verso la cattura di ciò che è ignoto, di ciò in cui l’intuito vede una nuova conoscenza. «Chi non danza ignora quel che accade» recita un antico inno gnostico.

Le immagini sono potenti. Horn in piedi, stretto nel rettangolo di plastica trasformato in cono verticale, Horn, ormai trasportato fuori dal mare, sdraiato a terra, essere in mutazione con quel polpo gettato sul sesso e sul corpo tremante, animale semidivino che si fa uomo, Horn ancora, tra rami luminosi, fiera cacciatrice. Il giovane e il meno giovane sono metafora in un ambiente onirico di ogni possibile relazione tra generazioni, presi tra amore, affetto, desiderio, rabbia, impulso di sopraffazione, capacità di protezione, istinto, ragione, unione con la natura. Tutto va ben al di là della coppia in scena. E questa è la grandezza.

La mano autoriale di Papaioannou, artista visivo creatore di focosi dipinti in movimento, vive nel furore metamorfico delle immagini che si fanno universali: come quando l’artista greco tiene in braccio un fagottino-bimbo, apertura della scena in cui Horn, accucciato in seconda posizione, vola indietro negli anni, apparendo come un giocoso infante, diventando in un attimo adolescente e poi di nuovo uomo, tutto reso in un soffio attraverso un corpo che cambia postura, atteggiamento, qualità del movimento dentro uno spazio scenico che si fa mondo.

UN PREAMBOLO folgorante alla nuova creazione il 16 dicembre ad Atene, in arrivo anche in Italia, tappa per ora annunciata al Napoli Teatro Festival i primi di febbraio.