La Storia ha due dimensioni, una è quella del passato da cui deriva il mondo in cui viviamo. La seconda è quella del presente, scritta dai migranti nel deserto e da chi come Mediterranea attraversa il mare per salvarli, dalle marce dei ragazzi dei Friday For Future, dalle mobilitazioni delle donne di Non Una di Meno, che stanno chiedendo con forza il cambiamento di un modello di società che produce per sua natura disuguaglianze, ingiustizia sociale e l’insostenibilità della vita sul pianeta. Con le sfide che questi movimenti stanno ponendo davanti a noi bisogna confrontarsi e farlo significa rimettere in discussione il capitalismo e la sua evoluzione in questa fase storica. Se non avremo il coraggio di farlo potremmo trovarci molto presto a dover fare i conti con una crisi strutturale della nostra democrazia.

La sfida è quindi quella di rispondere alle istanze di cambiamento che arrivano dal basso per evitare che frustrazione e rabbia prevalgano aprendo la strada ad una destra nazionalista che cresce alimentando la guerra tra poveri per accumulare consenso. Far nascere pur dentro contraddizioni evidenti il governo Conte bis, era l’unico modo e forse l’ultima occasione per ribaltare i rapporti di forza sul piano istituzionale e provare ad evitare che l’Italia divenisse la crepa capace di far crollare l’intero processo di integrazione europeo.

È evidente come la nascita del governo non sia sufficiente a scongiurare questo pericolo. Se dovessimo fallire fra qualche mese o fra qualche anno ci ritroveremo l’ex ministro dell’interno più forte di prima e con in mano le sorti di questo Paese e della sua democrazia.

Il problema però è il cortocircuito di rappresentanza che si è determinato tra la straordinaria stagione di mobilitazione sociale e l’inadeguatezza delle forze politiche della sinistra, incapaci di divenire strumento di partecipazione e di irruzione nella politica di questa enorme massa di persone che si sta mobilitando spontaneamente.

Ho letto con interesse in questi giorni gli interventi di Pierluigi Bersani e di Elly Schlein che in maniera diversa provano ad affrontare questo tema. Entrambi colgono la necessità di costruire qualcosa di nuovo, entrambi descrivono un campo largo capace di attraversare le diverse culture politiche che compongono la galassia progressista in Italia. Penso anche io come loro che il Partito democratico avrebbe in questo momento la grande opportunità di aprire un processo di ricomposizione del patrimonio politico e sociale della sinistra. Ma vedo a differenza loro che non vuole o non sa cogliere questa opportunità. E quindi? Che facciamo? Possiamo davvero permetterci di attendere che siano altri a fare qualcosa per noi?

Io credo di no e che abbiamo invece il dovere di agire. La prima cosa da fare è smetterla di dividerci in micro partiti autoreferenziali privi di rappresentanza sociale. Lo dico con grande rispetto in primo luogo per il partito di cui ancora faccio parte che è Sinistra italiana, ma vale per Articolo1, ÈViva, Europa Verde o per qualsiasi altro nuovo partito ognuno di noi stia pensando di creare. La frammentazione è il principale ostacolo che abbiamo davanti a noi.

Partiamo dal livello istituzionale che unisce tutti i soggetti della sinistra che sostengono il governo: i gruppi parlamentari di Liberi e Uguali, a cui non corrispondono né un soggetto politico né una rappresentanza sociale. Uno spazio del tutto insufficiente a rappresentare quello che si muove nel Paese, ma che potrebbe essere il perimetro da cui iniziare per aprire un processo costituente nuovo, aperto a chiunque abbia la voglia ed il coraggio di mettersi in discussione in campo aperto. Facciamolo chiamando a discutere con noi anche chi nel Pd o nei 5Stelle può contribuire attraverso il confronto a definire i temi di una nuova agenda politica. Io sono convinto come Elly che una nuova forza politica capace di interpretare le istanze di cambiamento che attraversano la società debba essere in primo luogo ecologista, femminista e progressista e credo anche che questa sia l’occasione che non possiamo farci scappare.

Vogliamo discuterne? Il futuro è un pezzo di storia ancora da scrivere e dovremmo candidarci a farlo anche noi.

*deputato Leu