Sui test Invalsi nella scuola primaria è guerra tra i Cobas, Unicobas e altre sigle sindacali e il ministero dell’Istruzione. La prima giornata delle prove a quiz dedicate all’italiano ha coinvolto 560 mila studenti della seconda classe e 558 mila studenti della quinta. È solo l’antipasto della batteria dei quiz che verrà somministrata venerdì prossimo quando nelle stesse classi si svolgerà la prova di matematica. Seguiranno le secondarie di primo grado (14 maggio) e quelle di secondo grado (16 maggio). Piero Bernocchi, portavoce nazionale dei Cobas che ieri hanno organizzato un presidio sulle scalinate del ministero dell’Istruzione in Viale Trastevere, sostiene che i test siano saltati in «migliaia di classi» per uno sciopero organizzato dai docenti e dal personale Ata che ha raccolto consenso anche tra i genitori. «Questa pratica quizzarola – sostiene Bernocchi – è umiliante e distruttiva, rimanda ad un progetto pedagogico basato sul nozionismo e peraltro non prevede nemmeno un euro extra per i docenti». Per il Miur invece è tutto falso. lo sciopero sarebbe riuscito solo in una decina di classe su circa 1500 classi-campione: «una percentuale inferiore a quella dell’anno scorso».
Per il Miur ieri a Trastevere c’era «soltanto uno sparuto gruppetto di manifestanti. Gli unici problemi si sono avuti ad Aversa dove alcune aule sono stata allagate dalla pioggia e in alcuni istituti nel Cilento chiusi per la tappa del Giro d’Italia». L’Unicobas non accetta questo trattamento dal ministero e contrattacca: contro le prove ieri hanno scioperato il 20% dei docenti. «La battaglia è sentita e combattuta – aggiunge il sindacato – anche dagli studenti e dalle famiglie, col netto rifiuto della vergognosa scheda sugli alunni che, se spinge a giudizi sommari e discriminatori su attitudini e personalità attua persino una rilevazione di censo, istituendo così una sorta di inaccettabile schedatura». Quello di ieri è stato il primo dei tre giorni di sciopero contro i test Invalsi. Bernocchi ha invitato il neo-ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carozza a un dibattito il 16 maggio quando i Cobas torneranno a presidiare il ministero.
La primavera della scuola italiana è dedicata alla valutazione degli alunni sin dalla più tenera età, secondo i dettami della pedagogia neoliberale elevata a sistema dalla riforma Gelmini e perfezionata da una serie di decreti dell’ex ministro Profumo. Ad aprile lo stato maggiore dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione (Invalsi) ha perfezionato un progetto contro il quale l’Unione degli Studenti ha lanciato un boicottaggio previsto per il 16 maggio. Si tratta di una «quarta prova» che verrà sottoposta ai maturandi a partire dal 2015. L’obiettivo è di associare il risultato di questi quiz al voto finale della maturità. I campi che i riformatori dell’Invalsi intendono valutare sono quelli indicati dai test Pisa a livello internazionale: la capacità di lettura e scrittura degli studenti, le capacità matematiche e quelle in inglese, insomma le voci che nel sistema di ranking internazionale adottato dall’Ocse rappresenta il grado di «produttività» delle scuole e degli studenti. Il test avrà una parte di domande comuni a tutti gli indirizzi dei licei, mentre un’altra sarà orientata agli indirizzi specifici.
È ancora incerto l’uso che gli atenei dovrebbero fare di questi risultati, ma l’orientamento è quello di usarli per selezionare le matricole. Un progetto che viene da lontano ma che ha trovato rapida attuazione dopo l’allarme lanciato nei mesi scorsi dal Consiglio Universitario Nazionale (Cun) sull’alto tasso di abbandono dell’università degli immatricolati: -17% dal 2003 al 2012, 58 mila persone, praticamente un intero ateneo. «In confronto ai paesi Ocse – ha scritto il Cun – l’Italia si pone al 25° posto su 35, in termini di percentuale di giovani che si immatricolano». Secondo questi dati, l’accesso all’università da parte dei neo-diplomati nella scuola superiore è perlomeno stabile.
Una campagna stampa, calvalcata dall’ex ministro Profumo, ha confuso questi dati sugli immatricolati (il totale degli iscritti al primo anno, degli studenti trasferiti da un’altra università, quelli che hanno abbandonato e poi ripreso gli studi) con i neo-diplomati iscritti al primo anno di università. L’onda emotiva che ha travolto un paese scosso dalla crisi, e ossessionato dal fallimento delle riforme dell’istruzione degli ultimi vent’anni, ha spinto a velocizzare la riforma dell’Invalsi e a credere nell’idea che una valutazione «oggettiva» basata sull’occasionalità dei quiz permetterà ai giovani di fare una scelta «responsabile» e a non sbagliare indirizzo di studi o a non abbandonarli. Il problema è che non sono i diciannovenni a lasciare l’università, ma i loro fratelli maggiori, colpiti dalla precarietà. Inutile dire che per questi ultimi i quiz Invalsi non hanno alcuna utilità. E molti dubitano sulla loro efficacia per gli adolescenti. Ieri dal quartiere Forcella di Napoli il ministro Carrozza ha ribadito invece la centralità dell’Invalsi: «Nelle valutazioni è importante tenere conto della base di partenza e degli strumenti» ha detto.