Un video di quasi tre minuti, diffuso in esclusiva dalla Bbc mondiale, ha tenuto banco nel primo pomeriggio di ieri: è la testimonianza che l’Eta, l’organizzazione armata separatista basca, ha iniziato un «processo di inventario e di parziale messa fuori d’uso dell’arsenale di cui dispone». Il filmato è dello scorso gennaio: alcuni militanti dell’organizzazione basca si mostrano col volto coperto vicino un tavolo ricoperto da ingenti quantità di armi ed esplosivi. Al loro fianco, due membri della Commissione Internazionale di Verifica (Civ), Ram Manikkalingam e Ronnie Kasrils.

La Civ era stata istituita nel settembre 2011, già prima della storica dichiarazione dell’Eta del 20 ottobre di quell’anno in cui sancì l’abbandono definitivo della lotta armata. Suo compito è di certificare l’effettiva volontà di cooperazione e dialogo da parte dell’Eta. Un ruolo di mediazione importante e delicato, ma non riconosciuto ufficialmente dal governo spagnolo.

Il momento vissuto ieri rappresenta un’iniezione di fiducia per tutti i settori della società basca che credono nel nuovo scenario senza violenza e che si battono per dare corpo al processo di pacificazione, nonostante l’irriducibile ostruzionismo dell’esecutivo guidato dal premier conservatore Mariano Rajoy. Per quanto si tratti della dimostrazione pubblica di un atto simbolico, la parziale consegna delle armi riporta alla mente un iter di pacificazione già istruito in Sud Africa e in Irlanda del Nord. Quello di ieri è un passo che, nelle intenzioni dell’Eta, dovrebbe costringere il governo di Madrid a mettere in moto un veritiero e credibile meccanismo di dialogo non solo con l’organizzazione armata, ma con l’intero movimento indipendentista basco.

Dalle stesse fonti che avevano anticipato la decisione dell’Eta e della Commissione internazionale di rendere pubblico questo video si apprende che il Collettivo dei prigionieri baschi (Ekkp nella sigla in euskera) ha intenzione di assumere alcune iniziative nelle prossime settimane. Prima fra tutte, il tentativo di essere trasferiti tutti in uno stesso carcere (attraverso singole richieste individuali alle amministrazioni carcerarie), per provare ad alleviare le dure condizioni di prigionia cui sono sottoposti.