Più di 4.000 morti in Africa occidentale – ma secondo gli esperti la cifra dovrebbe essere raddoppiata. Di fronte a questo tragico bilancio di vittime dell’Ebola l’Onu ha suonato l’allarme internazionale, chiedendo alle grandi potenze e alle ex colonie una mobilitazione straordinaria per contrastare il morbo. Però i grandi attori internazionali sono restii a far seguire i fatti agli allarmi.

E ancor di più a inviare personale medico in Africa. Così il compito di guidare la forza medica internazionale nel fronte di combattimento dell’Ebola, tocca a una piccola isola, con poco più di 11 milioni di abitanti e un reddito procapite di circa 5000 euro: infatti Cuba ha inviato la settimana scorsa in Sierra Leone un contingente di 165 fra medici, infermieri, biologi e specialisti in assistenza sociale. E entro l’anno giungerà un secondo contingente formato da 294 operatori della salute.

Non solo, da domani inizierà all’Avana un vertice speciale dell’Alleanza bolivariana dei popoli della nostra America-Trattato di commercio dei popoli (Alba-Tcp) per coordinare la cooperazione regionale per affrontare l’epidemia dell’Ebola e porre in atto misure preventive. Capi di Stato e di governo dell’Alba (Cuba, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Antigua y Barbuda, Salvador, Nicaragua, Santa Lucia, San Vicente e Granadine, Surinam, San Domingo) rispondono così all’appello dell’Onu per decidere una politica comune di aiuti all’Africa occidentale e centrale e per evitare che il contagio si estenda all’America latina e ai paesi dei Caraibi.

Non è la prima volta che Cuba gioca un ruolo di primaria importanza nell’affrontare disastri internazionali: il suo contributo ai contingenti medici e sanitari impegnati in situazioni di crisi (epidemie, terremoti, ecc) non ha rivali: fino ad oggi circa 50.000 operatori sanitari cubani ben addestrati sono al lavoro in 66 Paesi. Non solo, l’isola ha sperimentato anche personale capace di intervenire in situazioni di crisi, come i cicloni, per organizzare la mobilitazione sociale e dare assitenza anche psicologica alla popolazione. Proprio grazie a questa esperienza e a tale massiccio impegno, il vertice straordinario dell’Alba è stato convocato all’Avana.

Con una dichiarazione del tutto inusuale, anche il segretario di Stato Usa, John Kerry ha riconosciuto il ruolo di avanguardia di Cuba rivolgendosi al corpo diplomatico straniero a Washington per chiedere una mobilitazione internazionale contro l’epidemia: «Cuba – ha detto – un paese di appena 11 milioni di abitanti ha inviato (in Africa) 165 operatori della salute e prevede di inviarne altri 300». La necessità di intervenire in Africa per fermare il contagio è stata più volte espressa dalle autorità cubane. Lo stesso Fidel Castro, in un articolo pubblicato ieri, ha espresso il suo commosso omaggio agli specialisti cubani impegnati in questa importante, ma anche pericolosa, missione umanitaria. «È giunta l’ora del dovere» e dell’impegno, conclude Fidel, ricordando che con questo vertice straordinario «noi latinoamericani e caribegni inviamo un messaggio di speranza e di lotta agli altri paesi del mondo».

Nonostante i riconoscimenti internazionali di fronte a tale impegno, vi è però chi non rinuncia a usare politicamente questa emergenza per attaccare il governo cubano. Il ruolo, ancora una volta, è toccato al Nuovo Herald che nei giorni scorsi ha pubblicato un articolo dedicato a «voci insistenti» le quali affermano che in caso di contagio «gli operatori sanitari cubani non saranno rimpatriati nell’isola». Come dire che saranno abbandonati alla loro sorte. Naturalmente, nessuna prova è stata fornita per sostenere tali «voci», che sanno di sciacallaggio.