Eugenio Privitera, direttore dell’ Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Catania, ha partecipato ieri ai tavoli operativi con la protezione civile e al vertice in prefettura per fare il punto della situazione dopo il terremoto di magnitudo 4,8 con epicentro tra Viagrande e Trecastagni, in provincia di Catania. «Attualmente sull’Etna ci sono circa 160 sensori che trasmettono in tempo reale i segnali alla sala operativa dell’Ingv di Catania – riferisce il vulcanologo e sismologo – In queste ore, per potenziare il sistema di rilevamento sismico e geodetico, stiamo sostanzialmente decuplicando le stazioni (con altre 15) nella zona di Piano Provenzana».

Una scossa con ipocentro a un chilometro: qualcosa di molto diverso dai terremoti tettonici come quello di Messina del 1908, vero?
In aree vulcaniche i terremoti così superficiali sono abbastanza comuni, il versante orientale dell’Etna è stato colpito molte volte da terremoti potenzialmente poco dannosi ma che invece lo diventano a causa della superficialità dell’ipocentro. Comunque nel terremoto di Messina, che era di origine diversa, c’era in gioco una quantità di energia mille volte superiore.

Dunque la scossa registrata nella notte tra Natale e Santo Stefano è conseguenza diretta della ripresa attività vulcanica dell’Etna?
Indiretta. Attualmente nella parte sommitale dell’Etna abbiamo un dicco (una struttura laminare riempita di magma che si forma quando il magma migra verso la superficie topografica) che sostanzialmente sta alimentando le bocche attive in Valle del Bove e sta producendo le colate laviche che da mezzogiorno di lunedì si espandono nella valle. Questo dicco, che è lungo circa 2 km e profondo 1 km, si è aperto. E questa apertura di almeno 3 metri determina una «variazione dello sforzo».

Cosa vuol dire?
Detto in soldoni, una spinta ai fianchi della frattura, una pressione nelle zone circostanti. Quindi la scossa si presenta come un evento isolato (da allora quella zona non è stata interessata da altri eventi sismici) e dal nostro punto di vista è proprio la risposta fragile del vulcano a questa «variazione di sforzo» indotta dal dicco che ha generato la frattura eruttiva di lunedì.

Una nuova faglia?
No, la faglia Fiandaca si è mossa in parte anche nel 1984, quando si ebbe una scossa di magnitudo 4,5 che colpì la zona tra Fleri e Zafferana. Questa volta si è mossa tutta la faglia, e l’area di danneggiamento è più ampia: va da Acireale a Zafferana.

Dunque un evento singolo che non è connesso con lo sciame sismico tuttora in corso?
Lo sciame sismico interessa diverse zone dell’Etna ma il grosso della sismicità è attualmente in un’altra zona, in Piana del Vescovo, a circa 1700/1800 metri di quota, sul prolungamento della frattura eruttiva. Lì stiamo registrando anche deformazioni del suolo. Sono tutti indizi che il dicco sta tentando di propagarsi in direzione sud/sud-est.

Qual è il livello di allerta? La situazione desta preoccupazione?
Attualmente il livello di allerta è giallo (fase operativa di attenzione, ndr). Direi che il paziente è in prognosi riservata: stiamo tenendo in considerazione diversi scenari, uno dei quali è che possa finire tutto nel giro di poche ore perché la fase eruttiva è in forte decremento. Un altro scenario possibile è che si possano aprire nuove bocche a quota più bassa.

Ben sapendo che questo tipo di previsioni non si possono fare, potrebbero verificarsi scosse ben più forti?
Come dice lei, sono previsioni impossibili. Non si possono escludere altre scosse sicuramente, ma che possano essere più forti di 4,8 è poco probabile, a giudicare dalla storia sismica di quella zona.

Ultima domanda: come è la situazione a Stromboli, invece?
Lo Stromboli non è in eruzione, c’è solamente un aumento dell’attività esplosiva che si verifica normalmente. Va sottolineato che in ogni caso non c’è alcuna relazione tra l’attività dell’Etna e quella dello Stromboli. Il quale, non a caso, è conosciuto come «faro del Mediterraneo».