«La decisione dell’Austria di ripristinare i controlli interni con l’Italia non appare suffragata da elementi fattuali». Non si è fatta attendere la risposta di Roma alla decisione presa da Vienna di cominciare i lavori per la costruzione di una barriera al confine del Brennero. Dopo un primo momento di sorpresa per l’improvvisa accelerazione austriaca, ieri i ministri degli Interni Alfano e degli Esteri Gentiloni hanno scritto al commissario Ue per l’Immigrazione Dimitri Avramopoulos per esprimere la contrarietà del governo italiano per la scelta di Vienna. «Le misure annunciate inducono a chiedere con estrema urgenza la verifica da parte della Commissione europea delle loro compatibilità con le regole del Codice frontiere Schengen e con i principi generali di necessità, proporzionalità e leale cooperazione» scrivono i due ministri.
Nel governo le ultime mosse austriache suscitano a dir poco irritazione. Specie dopo l’incontro avvenuto venerdì scorso a Roma tra il titolare degli Interni e la collega austriaca Johanna Mikl-Leitner che sembrava aver messo a tacere i timori di Vienna circa un’ipotetica invasione di migranti pronti a risalire dalla Sicilia su su fino al confine. Accordo che prevedeva controlli comuni e a campione su tutti i mezzi in uscita dal Brennero, mettendo così fine allo spettro di un nuovo muro nel cuore dell’Europa. Ma che è durato appena 96 ore, subito mandato in soffitta dalla decisione di Vienna di innalzare una barriera di 250 metri lungo il confine. «Se fosse vera sarebbe inspiegabile e ingiustificabile» commenta da Washington Alfano, mentre da Teheran Matteo Renzi avverte «gli amici» austriaci: «Ho chiesto agli uffici e all’ambasciatore Calenda (Carlo Calenda, rappresentante dell’Italia a Bruxelles, ndr) di verificare tutti i passaggi normativi a livello europeo per chiedere conto delle cose che sta facendo l’Austria», dice il premier.
Diplomazia a parte, nei piani alti del Viminale si fa fatica a mantenere la calma. «Sì perché se c’è qualcuno che non rispetta le regole sono proprio gli austriaci», è il commento più diffuso. Il riferimento è ai pachistani e afghani che da giorni Germania e Austria stanno rispedendo indietro perché ritenuti non in diritto di presentare domanda di asilo, ma che anziché essere indirizzati verso la Grecia, paese dal quale sono arrivati la scorsa estate e come vorrebbero le regole di Dublino, sono inviati in Italia. «Più di mille persone negli ultimi giorni», fanno sapere dal Viminale. Dove prevale la convinzione che le decisioni in arrivo da Vienna altro non siano che manovre in vista delle elezioni presidenziali del 24 aprile. «Anche se stanno andando un po’ oltre. Capiremo presto dove vogliono arrivare», si fa capire.
Nel frattempo, però, si organizza la risposta politica. D’accordo con Renzi, Alfano e Gentiloni mettono giù quella che ha tutto il tono di una protesta formale contro Vienna. E mentre la solita Mikl-Leitner un po’ provocatoriamente definisce «non comprensibile» l’agitazione italiana («la densità dei controlli al Brennero dipende dal successo delle misure italiane», fa sapere la ministra), da Roma si contattano anche le istituzioni di Bruxelles. E infatti dalla commissione europea arrivano parole preoccupate per la nuova barriera. «Le reintroduzioni dei controlli alle frontiere devono essere eccezionali e temporanee» commenta la portavoce Natasha Bertaud, specificando che «non ci sono prove di una deviazione dei flussi migratori dalla Grecia all’Italia». E nel pomeriggio il commissario Ue all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos telefona alla Mikl-Leitner per chiedere spiegazioni.
Da parte sua Vienna rivendica le decisioni assunte, nella convinzione del governo di coalizione di riuscire a fermare in questo modo l’avanzata della destra nazionalista e xenofoba del Partito della Libertà, dato in crescita dai sondaggi. Dietro le paure austriache ci sono gli ultimi dati relativi agli sbarchi in Sicilia, saliti a 24 mila dall’inizio dell’anno, il doppio di quelli registrati nello stesso periodo del 2015. Numeri che ovviamente vengono visti con preoccupazione anche dal Viminale, dove però si sottolinea anche come l’andamento assunto dagli sbarchi nei primi mesi non è detto che debba proseguire nel resto dell’anno. E, soprattutto, si fa notare come tra i migranti in arrivo non ci siano siriani, cosa che dimostra come la chiusura della rotta balcanica non abbia provocato una ripresa automatica di quella del Mediterraneo centrale.
L’incremento del numero di barconi provenienti dalla Libia potrebbe quindi significare una scelta precisa da parte dei trafficanti di uomini di sfruttare il più possibile i migranti prima che il nuovo governo libico metta in atto controlli più rigidi ostacolando così il business delle partenze.