C’è voluto il centocinquantesimo anniversario della Football Association inglese per rivitalizzare la sfida tra squadre nazionali più antica del pianeta: Inghilterra contro Scozia. Mercoledì 14 agosto si ritroveranno di fronte sotto l’arco del nuovo Wembley a ben 14 anni di distanza dall’ultimo match, disputato all’ombra delle torri del vecchio impianto londinese e vinto dai nipotini di William Wallace per 1-0. Un’affermazione con il retrogusto amaro, visto che la Scozia non riuscì lo stesso a qualificarsi per gli Europei del 2000, poiché all’andata del play off di spareggio aveva perso 2-0 (doppietta di Paul Scholes) contro l’auld enemy. Il vecchio nemico, il nemico di sempre, quello contro cui gli scozzesi hanno combattuto guerre infinite, nonostante una pressoché perenne inferiorità numerica e di mezzi. Dopo secoli di lotte hanno finito per chinare il capo davanti allo strapotere degli inglesi, che però nel tempo hanno mollato un po’ la presa. Adesso, dopo la devolution e la nascita del parlamento a Edimburgo negli anni Novanta, la spinta indipendentista data soprattutto dallo Scottish National Party di Alex Salmond appare destinata ad avere il suo apice in un referendum che si terrà nel 2014 e con cui cinque milioni di scozzesi certificheranno o meno la loro intenzione di abbandonare Londra.

 

Staremo a vedere. Per il momento il sì al distacco sta calando nei sondaggi, in cui il no è dato intorno al 59 per cento. Intanto la disfida di Wembley – che ovviamente è un’amichevole solo sulla carta – sta già rinfocolando vecchi rancori e una rivalità sportiva mai banale, prevista per calendario ogni 12 mesi dal 1884 fino a esattamente un secolo dopo. L’ormai defunto Home Championship (cui partecipavano anche Galles e Irlanda del Nord) “obbligava” infatti Inghilterra e Scozia a fronteggiarsi o a Wembley o all’Hampden Park di Glasgow a cadenza annuale. A volte il cosiddetto (da noi) campionato Inter-britannico ha assunto addirittura valore di qualificazione per i Mondiali (quelli del 1950 e del 1954) o per gli Europei (quelli del 1968 in Italia).

 

Poi l’importanza dei club ha preso il sopravvento e l’Home Championship, la più antica competizione per nazionali, ha cessato di esistere. Si è provato più a volte a resuscitarlo, senza successo proprio a causa del niet della Football Association. Per la verità dopo il 1984 le due eterne nemiche hanno continuato a fronteggiarsi ogni 12 mesi nella Stanley Rous Cup, dedicata all’ex presidente della Fifa nonché arbitro originario del Suffolk. Un torneo dalla durata brevissima, poiché chiuse i battenti già nel 1989. Colpa, in questo caso, del dilagante teppismo da stadio – il 1989 fu anche l’anno del dramma di Hillsborough che segnò in tutti i sensi il nadir del calcio d’Oltre Manica – che, specialmente a livello di nazionale, continuò per almeno un altro decennio, come testimoniano gli incresciosi episodi di Dublino in occasione dell’incontro con l’Irlanda nell’inverno del 1995 e le tante risse con protagonisti i supporter inglesi spalmate tra Mondiali ed Europei.

 

Di storie, anche drammatiche, legate alla sfida infinita tra inglesi e scozzesi ce ne sono a bizzeffe. Nel 1902 la prima grande tragedia occorsa in uno stadio di calcio – il vecchio Ibrox Park – si verificò proprio durante un incontro tra le due nazionali, poi annullato e ripetuto al Villa Park di Birmingham. Una tribuna in legno crollò sotto il peso eccessivo degli spettatori presenti, trascinando nel vuoto centinaia di persone. In 26 persero la vita ma l’architetto di quell’impianto, lo scozzese Archibald Leitch, non solo si riprese dallo shock per il terribile incidente, ma realizzò praticamente tutti gli stadi più famosi del Regno Unito – Wembley escluso – nei tre decenni successivi.

 

Tornando al calcio giocato, tanti i match da ricordare. Per i bianchi spicca il clamoroso 9-3 del 1961, con goal iniziale del compianto ex commissario tecnico dell’Inghilterra Bobby Robson e tripletta di Jimmy Greaves (che qualche settimana dopo sarebbe passato al Milan), che coincise con la seconda e ultima presenza in nazionale del malcapitato portiere del Celtic Frank Haffey. Difficile non citare il classico 2-0 con cui i tre Leoni si sbarazzarono dei rivali nel girone di qualificazione degli Europei giocati in patria nel 1996. Ci pensarono Alan Shearer e Gazza Gascoigne con un goal fantastico a regalare una vittoria storica all’Inghilterra. Tra le due realizzazioni inglesi l’atroce beffa per gli scozzesi, che sprecarono un rigore con il capitano Gary McAllister. Ma come è scontato che sia quando la forze in campo non sono – almeno sulla carta – in equilibrio, sono spesso ricordati più i trionfi dei blu con il leone rampante sul patto, sebbene il bilancio complessivo ci racconti di un sostanziale equilibrio: 45 a 41 le vittorie per gli inglesi, 24 i pareggi.

 

Immortali sono diventati i Maghi di Wembley, l’undici che umiliò per 5-1 l’Inghilterra a domicilio nel 1928, “campioni del mondo” per proprietà transitiva quelli guidati dal sublime Denis Law che nel 1967 sconfissero sempre a Wembley Bobby Moore e compagni, allora detentori della Coppa Jules Rimet. Ma storico è anche il 2-1 firmato Gordon McQueen e Kenny Dalglish conquistato a Londra nel giugno del 1977. Un match ricordato soprattutto per la massiccia invasione di campo al fischio finale. Tanto per gradire, una Tartan Army ebbra di gioia si portò a casa decine di zolle del sacro prato di Wembley e vari pezzi delle porte – quelle con le reti profonde e tiratissime che tutti gli appassionati di calcio over 40 non possono non ricordare. Il 1977 era l’anno del Giubileo d’Argento della Regina Elisabetta e senza dubbio i suoi sudditi scozzesi vollero farle gli auguri a modo loro, un po’ come fecero i Sex Pistols con il loro inno punk God Save the Queen

 

Curioso come il primissimo match ufficiale – in realtà prima ce ne furono altri cinque di carattere “ufficioso” – si sia concluso con un salomonico 0-0 in quel di Glasgow. Una delle pesantissime maglie di lana indossate da un membro della nazionale inglese si può ammirare al museo del football di Manchester. Si era nel 1872, in piena epoca vittoriana. Il professionismo doveva ancora fare la sua comparsa (ma, vista la capillare diffusione del football, ci avrebbe messo poco più di un decennio a materializzarsi) e in Scozia c’era una squadra fortissima , il Queen’s Park, che qualche anno dopo rischiò di vincere due volte la FA Cup e per l’esordio della nazionale fornì tutti e 11 i giocatori scesi in campo davanti a 4mila persone all’Hamilton Crescent, poi divenuto un campo da cricket – furono invece 149mila le presenze per un incontro del 1937 all’Hampden Park, tuttora affluenza record per il calcio in Europa.

 

 

Per molti anni gli scozzesi le suonarono spesso ai maestri inglesi, anche con score roboanti, un 7-2 e un 6-1 inclusi. Una tendenza che ben testimoniava quanto fosse praticato il gioco a nord del Vallo di Adriano, tra l’altro con un approccio un pizzico più tattico e fantasioso rispetto agli avversari.

 

Ora il calcio scozzese sta vivendo una crisi profonda. Mancano gli eredi dei vari Dalglish, Souness e Strachan, tanto per citare i principali esponenti dell’ultima golden generation, i soldi scarseggiano (l’anno scorso sono falliti addirittura i Glasgow Rangers, costretti a ripartire dalla quarta serie…) e l’interesse del pubblico per un “prodotto” mediocre è in costante calo. L’exploit del Celtic nella Champions League 2012-13 – qualificazione per gli ottavi di finale con tanto di vittoria contro il Barcellona – non può certo coprire le magagne della nazionale, che non raggiunge una competizione di spicco dai Mondiali francesi del 1998. Quando, come al solito, non riuscì a superare il primo turno. Non che la selezione inglese se la passi tanto meglio, se ormai l’unico trionfo ai mondiali – nel lontano 1966 – è ormai diventato uno spauracchio per un Paese che però può contare su uno dei campionati più ricchi e seguiti del globo.

 

Ma per 90 minuti non conterà nulla, se non sconfiggere l’avversario. Meglio se umiliandolo.