La sfida di domani mattina a Yokohama (Rai2, 10.00) tra Inghilterra e Nuova Zelanda è per molti la finale anticipata della Coppa del mondo di rugby. Il XV della Rosa è la squadra più in forma tra quelle del Vecchio Continente ed è giunta fin qui senza tentennamenti. Nel girone di qualificazione ha vinto tutti e tre i confronti con 119 punti all’attivo e 20 al passivo, ha segnato 17 mete subendone soltanto 2 impressionando per solidità e compattezza. Nei quarti di finale la squadra inglese si è poi facilmente sbarazzata dell’Australia, piegata con un perentorio 40-16.

Per gli All Blacks la fase preliminare, una volta battuto il Sudafrica, ha avuto i caratteri di una passeggiata: un totale di 157 punti contro 22, una sola meta subita (dagli Springboks) e 22 realizzate. Approdata alla seconda fase del torneo, la Nuova Zelanda ha quindi triturato l’Irlanda, dominando in lungo e in largo: 46-14 con due mete al passivo in ragione di un comprensibile rilassamento nell’ultimo quarto di gara.

Entrambe hanno saltato una gara a causa del ciclone Hagibis. I tuttineri si sono risparmiati il match con l’Italia, gli inglesi hanno evitato le insidie della sfida con la Francia: Le Crunch è pur sempre un impegno in cui muscoli e energie mentali sono messi a dura prova. Nelle sue nove edizioni la William Webb Ellis Cup non ha mai avuto una finale tra inglesi e neozelandesi. E’ un peccato. La nazione che ha inventato il gioco del rugby e l’ex dominion che della palla ovale ha fatto una sorta di religione laica, divenendone la perfetta interprete, meriterebbero questa opportunità.

Inghilterra e Nuova Zelanda si sono incrociate tre volte in tutto (nel 1991 e nel 1999 nella fase a gironi, nel 1995 in semifinale) e sempre gli All Blacks hanno avuto la meglio. Nella lunga storia del rugby la sfida del 1995, in terra sudafricana, è segnata in rosso. Quel giorno, dopo appena due minuti dal calcio d’inizio, Jonah Lomu prese palla, superò di potenza due difensori inglesi, poi si trovò di fronte Mike Catt, l’ultimo ostacolo prima della linea di meta. Gli passò sopra, letteralmente, calpestandolo come fosse nulla più che una zolla di terra. Dagli spalti del vecchio Newlands di Cape Town si alzò un muggito: era ammirazione e stupore per quel colosso dotato di un fisico da terza linea che correva come un centometrista e che nessuno riusciva a fermare. Lomu segnò poi altre tre mete agli uomini in bianco ma fu in quel momento che il suo nome divenne leggenda.

La sfida è stata preceduta da una settimana di guerriglia psicologica. Neozelandesi e inglesi sono due mondi che non si amano, non quando è in ballo la palla ovale. Gli albionici trovano insopportabile che quegli ex sudditi dell’impero siano diventati più bravi di loro; i kiwis, a loro volta, pensano che non solo gli inglesi ma tutte le home unions si siano aggrappate ai loro soldi e ai privilegi di un rugby che nell’emisfero Nord è tanto più ricco del loro.

Così Steve Hansen, head coach degli All Blacks, è tornato all’attacco sulla questione del progetto “Nations Championship” – un unico torneo annuale su scala mondiale che incorpori anche il Sei Nazioni – che nei mesi scorsi è stato bocciato per la netta opposizione delle squadre britanniche. A domanda su quanto pesi la rivalità con il XV della Rosa, Hansen ha risposto: “Con l’Inghilterra ci siamo affrontati una volta sola negli ultimi cinque anni. E’ difficile costruire una rivalità così. Ma le squadre del Sei Nazioni pensano soltanto a loro stesse e agli interessi economici”.

Poi c’è l’accusa di spionaggio: qualcuno avrebbe filmato la tattica di gioco degli inglesi da un edificio che si affaccia sul campo da allenamento. Eddie Jones, l’allenatore dell’Inghilterra, lo ha riferito con una certa malizia in conferenza stampa, senza tuttavia puntare il dito contro lo staff degli All Blacks. Schermaglie che molti hanno derubricato alla voce “pre-tattica” ma sulle quali la stampa britannica è andata a nozze. Poi si è aperto un fronte interno alla Nuova Zelanda che concerne la haka, la danza guerriera che gli All Blacks inscenano prima di ogni partita. Kees Meeuws , ex pilone di sangue maori, 44 caps con i tuttineri, in una recente biografia, ha sparato ad alzo zero sul rituale, divenuto a suo avviso niente più che una recita per ragioni puramente commerciali. Opinione lestamente rilanciata dalla stampa irlandese: la haka è sleale, serve a intimorire gli avversari, e non prevede alcuna “par condicio”. Risposta di Steve Hansen: “Appartiene ai giocatori e ha un grande significato. Non è fatta per nessun altro se non per noi”.

All Blacks verso il quarto titolo?

La Nuova Zelanda è data vincente da molti pronostici. A suo favore giocano i precedenti, la posizione nel ranking mondiale, i due titoli consecutivi, 2011 e 2015, che si aggiungono a quello conquistato nella prima edizione, era il 1987, quando il rugby era ancora uno sport dilettantistico. La squadra non sembra aver punti deboli. Di più, ha una tale varietà di schemi e di opzioni di gioco da mettere in difficoltà qualunque avversario: chi pensa di aver compreso il loro piano di gioco viene immediatamente smentito. Laggiù agli antipodi il rugby è divenuto una scienza e si sperimentano sempre nuove soluzioni.

Chi può arrestare tanta perfezione? Eddie Jones ci proverà. Se gli All Blacks giocano con una doppia cabina di regia (Richie Mo’unga schierato all’apertura e Beauden Barrett all’estrema), lui ripropone George Ford con il numero 10 spostando Owen Farrell nel ruolo di primo centro. Fondamentale la disciplina che spesso è stata il punto debole degli inglesi. La battaglia dei pack sarà spettacolare, e nessuno è in grado di dire chi la vincerà perché tale è la qualità dei suoi interpreti da vanificare ogni previsione.

Una vittoria lancerebbe gli All Blacks verso il loro terzo titolo consecutivo. Sarebbe gloria eterna ma dodici anni filati di predominio assoluto stenderebbero sul rugby e sulla coppa del mondo una patina di monotonia che non tutti gradirebbero. Un successo inglese farebbe invece della finalissima un evento meno scontato nell’esito. A dirigere il match c’è il gallese Nigel Owens, il migliore di tutti, e anche questa è la conferma di quanto Inghilterra-Nuova Zelanda sia la finale che un po’ tutti sognavano.

Inghilterra: Daly; Watson, Tuilagi, Farrell, May; Ford, Youngs; B. Vunipola, Underhill, Curry; Lawes, Itoje; Sinckler, George, M. Vunipola. In panchina: Cowan-Dickie, Marler, Cole, Kruis, Wilson, Heinz, Slade, Joseph.

Nuova Zelanda: B. Barrett; Reece, Goodhue, Lienert-Brown, Bridge; Mo’unga, Smith; Read, Savea, S. Barrett; Whitelock, Retallick; Laulala, Taylor, Moody. In panchina: Coles, Tuungafasi, Ta’avao, Tuipulotu, Cane, Perenara, Williams, J. Barrett.